di Davide Morresi
Colonna sonora di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” qui: http://readandplay.it/jack-frusciante-e-uscito-dal-gruppo-enrico-brizzi/
Siamo al Gogol & Company di Milano (https://www.gogolandcompany.com/).
È sabato. Il 21/09/2019. Ore 18:00. Il dehors è stracolmo e la gente riempie gli spazi esterni, sparpagliata nella piazza.
L’introduzione è lasciata a Omar Pedrini
Accompagnato dalla sua chitarra, Omar Pedrini intona “Sole Spento”. Al termine l’applauso è poderoso e commosso.
Il brano dice: “Ci sono giorni in cui mi sveglio spento / E tutto sommato provo a starci dentro / Nella mia stanza aspetto il mio momento / Sono qui, aspetterò / Io, aspetterò / Quando la vita sembra un treno lento / Penso agli amici fuori e muoio dentro / La mia generazione senza vento / Sono qui, aspetterò / Io, aspetterò / Finchè arriverà il mio momento / Stammi accanto / Col pensiero tu, tu stammi accanto / Sole spento / Io ti sento con me”.
Non c’era modo migliore di introdurre questa festa. Questo è Alex. Senza alcun dubbio. In tutto e per tutto.
Omar continua presentando un brano dove si dice che “Il rock non morirà mai”. Lo dedica a Jack, ad Alex e a Enrico. Un brano di Neil Young, suonato in questi tempi, in cui sembrerebbe che il rap e la trap hanno cancellato il rock dalle classifiche di tutto il mondo. Omar dice: “Ostinatamente canto questa canzone che scrisse Neil Young proprio quando sulla bocca di tutti c’era il rock è morto, rock is dead. Era esplosa la disco music, non la trap allora, ma, insomma, le dinamiche sono le stesse. In questa canzone tra l’altro si cita Johnny Rotten dei Sex Pistols. Il punk era per Alex e per questo nostro amatissimo libro un filo rosso. Si cita The King, Il Re se n’è andato ma non è dimenticato, che era Elvis, che muore proprio nel ’77. E poi, in una nota malinconica ma che fa capire quanto sia importante per il rock questa canzone, Kurt Cobain, il Signor Cobain, prima di togliersi la vita, ha scelto proprio una frase di questo brano per salutare, nella classica lettera d’addio, è meglio bruciare in un attimo che spegnersi lentamente, una frase che in metropolitana vedo sugli zainetti dei ragazzini e mi chiedo: “Chissà se sanno che è tratta da questa canzone di Neil Young?”. Quindi ve la faccio ascoltare e la dedico a ogni anima rock e punk presente.
Omar attacca. C’è un silenzio intenso. Il brano è “Hey hey, my my (into the black)”.
L’arrivo di Enrico Brizzi
Al termine entra in scena Enrico Brizzi. Omar lo accoglie con un curioso aneddoto: “Aspettavo te per raccontare come ci siamo incontrati. A Bologna Enrico mi ha portato in un posto, l’Osteria del Sole, dove ti danno solo da bere. Non era previsto il cibo. Siamo arrivati, io ed Enrico, con il nostro pacchettino di pane e formaggio, abbiamo preso del vino, un pomeriggio straordinario. E da quel momento mi fregio di essere anche amico di Enrico Brizzi”.
Nell’introdurre un altro brano, dedicato a Freak Antoni, che fa parte del suo ultimo album, Omar racconta di quanto sia legato a Bologna. “Io sono nato a Brescia, residente a Milano, rinato a Bologna” dice (a Bologna Omar è stato operato al cuore). E intona “Freak Antoni”, al termine della quale, inutile dirlo, si eleva un altro applauso fragoroso. Il battito delle mani delle circa cinquecento persone presenti sembrano gonfiare il tettino del dehors.
L’intervista
Omar lascia il palco e sale Paolo Cognetti, un altro grande scrittore, un emblema della letteratura italiana attuale, che in questo caso indossa i vestiti dell’intervistatore. Paolo elogia “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e lo annovera tra i libri che leggeva a scuola, di nascosto, e a cui si è ispirato. Uno di quei libri che lo hanno spinto a iniziare a scrivere. Ed entra subito nel vivo: “… Forse si potrebbe cominciare da un cinema di Bologna in cui tu, Enrico, andasti a vedere Blade Runner, se non mi sbaglio.”
Enrico prende in mano il microfono e dimostra che, oltre a essere un maestro della parola scritta, lo è anche di quella parlata. Inizia a raccontare e la platea (se così si può dire, perché in realtà si respira più aria da concerto allo stadio che da presentazione in libreria) si immobilizza in un silenzio assorto e devoto.
Sì… tutto inizia da un cinema, che è il cinema Lumiere, all’epoca in via Pietralata, che proponeva i classici pomeriggi per studenti con cinque film a diecimila lire, delle maratone per cui la gente entrava con sacchetti di birra e patatine, panini, l’essenziale per resistere dalle due del pomeriggio a notte fonda. Quel pomeriggio, in particolare, se non sbaglio il quarto film della maratona, quando la gente oramai si era diradata, era Blade Runner, che mi lasciò a bocca aperta. A quel punto era già uno di quei film noti a tutto il mondo tranne che a me. Mi piacque talmente tanto che cercai di riscrivere la storia. Erano i primi anni, le prime stagioni, in cui cercavamo di rompere, dopo essere stati quei ginnasiali così obbedienti, quel diaframma, quel plexiglass trasparente, quella barriera che ci separava dalle persone che facevano le cose che ci piacevano.
Forse la cosa più bella che mi ha dato la scrittura è stata poter conoscere persone che stimo.
Paolo: “Quindi hai telefonato a Ridley Scott quella volta?”
No. Non sapevo neanche se era un film italiano o americano. Ero indietrissimo. L’unica cosa che sapevo è che era la prima stagione in cui cercavamo di scrivere i nostri giornalini, si chiamavano fanzine all’epoca. Le stampavamo in copisteria. L’originale veniva creato incollando i pezzi di articoli, i titoli e le foto sopra la copia numero uno. Era il nostro modo per rompere il conformismo dei licei. E ovviamente in tutto questo ha un ruolo molto importante l’opinione che ha di te quella certa ragazza che in quel momento ti piace.
L’opinione degli amici è molto importante, quella della ragazza che ti fa battere il cuore lo è ancora di più. Quando legge qualcosa di tuo per la prima volta e ti incoraggia a fare qualcosa di più, a passare da un raccontino di una pagina a un racconto lungo, o addirittura ti dice quelle parole che, ancora non lo sai, ma ti cambieranno la vita: “Perchè non provi a scrivere un romanzo?”. E ti confronti con tutte le tue aspettative, i tuoi desideri e i tuoi limiti. Il primo fra tutti è che la tua vita non è affatto interessante come quella dei narratori o personaggi dei romanzi che ti piacciono, e allora anch’io ho cominciato con un plagio, non potevo fare altro, ho copiato la serie di Blade Runner, contando che in sala eravamo rimasti cinque o sei, e nessuno la conosceva. Oh, all’inizio ha funzionato: vari amici ancora più ignoranti di cinema di me, mi hanno lodato dicendo: “Ma che fantasia! Come hai fatto a inventarti un mondo del genere dove ci sono esseri umani e creature che umane non lo sono fino in fondo? Come hai fatto a inventarti questa ambientazione in questa città fantastica?”.
E dopo succede un’altra cosa… che ti si dice, sulla base del tuo enorme talento nel creare mondi immaginari nel futuro: “Perchè non lo mandi agli editori?”. Io l’unico che conoscevo che mandasse la roba agli editori era Snoopy quando spedisce “C’era una notte buia e tempestosa…”. Ma mi sono fatto forza e sono entrato in una libreria, la libreria Feltrinelli sotto le Due Torri nel cuore di Bologna, e c’era un annuario con gli indirizzi degli editori. Ho tirato giù gli indirizzi, l’equivalente oggi di info@grandeeditore.it, cioè quella mail a cui non ti risponderà mai nessuno, e ho mandato la mia ventina di copie in giro. L’unica cosa saggia che ho fatto, in mezzo a diciotto grandi editori che mai avrebbero avuto il tempo o il modo di ricevere fisicamente in mano il mio manoscritto, copiato da Blade Runner: ci ho messo dentro un paio di case editrici indipendenti. Erano i primissimi anni ’90, in cui capitava abbastanza spesso che dei piccoli editori indipendenti prendessero sotto la loro ala dei ragazzi, li facessero scrivere e in qualche modo… non voglio dire che insegnassero loro il mestiere, perché nessuno pensava alla scrittura come a un mestiere, ma cercavano di far evitare loro gli errori più comuni, tipo: il classico primo libro di ognuno di noi, un libro sostanzialmente autobiografico in cui il protagonista sei te stesso però più figo; i tuoi amici idealizzati invece di avere pregi e difetti come ogni cristiano al mondo; le donne tutte malvagie tranne una, meravigliosa; l’eroe che viene compreso solo da pochissime persone e gli altri invece, cavoli, proprio non riescono ad afferrare non dico la sua essenza semidivina, ma nemmeno che è un bravo ragazzo.
Ecco, tutti questi errori per quanto mi riguarda sono stati evitati da un incontro fisico… vi racconto in breve. Qualche mese dopo l’invio agli editori, senza aver ricevuto ovviamente nessuna risposta, torno a casa una domenica pomeriggio e mia madre mi fa: “Ha chiamato un editore. Ti vuole vedere. Appuntamento alle sei, sotto le Due Torri…”. Sempre lì succede tutto. Io penso a uno scherzo degli amici, quindi col cavolo che vado lì tutto speranzoso. Vado da dietro, così li sorprendo mentre aspettano di indicarmi e ridere sguaiati. Arrivo in bicicletta e mi rendo conto che però c’è una creatura sovrannaturale: un editore! Cioè… un uomo enorme, più basso della Torre degli Asinelli ma quasi alto come la Garisenda, la minore delle due. Me lo ricordo alto almeno quattro metri, con l’impermeabile da editore lungo fino ai piedi, queste scarpe lunghissime, tipo Pippo di Topolino, gli occhiali da editore, il naso da editore, tutto. Molto timoroso, mi presento: “Buonasera, sarei io”. Lui mi guarda in prospettiva a strapiombo, e mi porge questa mano enorme. Io gli do la mano, lui me la stringe e si presenta. Si chiamava Massimo Canalini, della casa editrice Transeuropa di Ancona, una delle piccole case editrici a cui avevo mandato il testo che aveva il merito, ai miei occhi, di avere pubblicato tre raccolte, si chiamavano Under 25, Vol. 1, 2 e 3, curate dall’editore insieme a Pier Vittorio Tondelli, uno dei pochi scrittori che aveva dedicato una parte del suo tempo per aiutare dei giovani a scrivere i loro racconti. Molti dei quali, grazie a quella vicinanza, erano passati a pubblicare libri in proprio.
Qui Paolo interviene sottilineando come quegli anni furono, per certi aspetti, anni d’oro per una certa editoria, quella che cercava per la prima volta di valorizzare i giovani, di scoprire nuovi talenti e nuovi stili di scrittura, di tradurre validi autori stranieri ancora sconosciuti in Italia. Furono gli anni in cui nacquero case editrici poi cresciute e ora molto importanti: Minimum Fax, Transeuropa, Theoria, Fazi, Fanucci…
Enrico continua.
Erano anni in cui sembrava clamoroso che Andrea De Carlo avesse esordito a soli ventinove anni, giovanissimo per quell’epoca. Dedicarsi integralmente agli under 25 significava spostare l’asticella in maniera significativa. Io ero convinto che Massimo Canalini si fosse bevuto la storia che il libro copiato da Blade Runner fosse mio e mi proponesse quindi di organizzare eventi mondiali. Invece mi dice: “Ma come cazzo ti è venuto in mente di copiare Blade Runner?”. Io ci resto male. Vorrei scappare via, seppellirmi vivo. Ma per fortuna sopravvivo. E mi dice: “Ma li hai letti i consigli che Tondelli ha dato agli under 25?”. Tento disperatamente di mentire ancora, ma ormai era inutile. E tira fuori questa fotocopia che aveva nel taschino dell’impermeabile e mi dice: “Leggila”. Io inizio a leggere e le cose che mi hanno colpito di più erano sostanzialmente:
– Parlate delle storie che conoscete veramente;
– Non copiate il cinema;
– Se vivete in una città di provincia, non fingete di vivere a Londra o a New York, ambientate le storie nel mondo che conoscete davvero;
– Se vi sentite oppressi dai genitori, non capiti dagli amici, se avete un amore infelice, parlate di quelle cose;
– Non fingetevi persone diverse da quelle siete, trovate una voce che possa raccontare le vostre storie in maniera onesta.
Erano tutte frasi che ribaltavano completamente quello che avevo in mente.
E dissi a Canalini: “La mia vita è molto banale. Vado al liceo. Sono innamorato di una ragazza che non è tanto sicura di volersi mettere insieme a me. Suono con i miei amici in cantina ma non siamo la migliore band della città, nemmeno del quartiere, e neanche della scuola, io in particolare sono il bassista più scarso dell’Emilia Romagna”.
E lui mi fa: “Fantastico! È di questo che devi scrivere!”.
Un’altra cosa importante è stato quello che è successo dopo.”
Enrico se ne andò da questo incontro e iniziò a scrivere seguendo i consigli. Ma da Canalini fu invitato alla casa editrice, ad Ancona, con gli altri scrittori in erba, ogni sabato sera. Ognuno leggeva le proprie opere, gli altri ascoltavano e davano le proprie opinioni. Un laboratorio di scrittura. Questo fu un passaggio fondamentale per la nascita di dell’Enrico Brizzi scrittore per come lo conosciamo oggi.
Paolo: “Chi c’era a questi incontri?”
Con Under 25 hanno esordito Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia, Gabriele Romagnoli, Pino Cacucci… e tanti tanti tanti altri.
Paolo: “Mi dicevi che erano anche piuttosto festose queste riunioni”.
Si tendeva a fare tardi la sera, sì.
Fu lì che, in qualche modo, nacque Jack Frusciante. Nelle riunioni fumose, a tirar mattina, a suon di letture, confronti, scritture, e baldoria, Enrico si sentiva il ragazzino della primavera, diciassettenne, chiamato a giocare una partita in prima squadra, in mezzo ai ventenni. Si sentiva importante, poteva dare la propria opinione agli altri che, a loro volta, erano interessati alla sua. Poteva leggere le proprie opere di fronte a gente più esperta da cui ricevere pareri e consigli.
Paolo: “La voce di Jack Frusciante, inconfondibile, le strane scelte di punteggiatura, il gergo, il miscuglio di lingue, l’impaginazione… è nato tutto lì?”
È stato frutto degli incontri, delle notti insonni e dei minuti rubati ad altro, di scrittura e riscrittura continua. Per scrivere le 174 pagine dell’edizione originale, ne ho scritte 1740. Da punti di vista diversi. Con tempi e metriche diverse. Esattamente come vedevo fare dagli amici musicisti più dotati. Tanti raccontano “questa l’ho scritta su un kleenex mentre ero in autogrill”. Sono stronzate. All’autogrill hai avuto l’idea ma ci hai lavorato sopra tanto. La cosa importante che ho imparato è che la scrittura non ha a che fare con un colpo di genio. Il colpo di genio serve, è fondamentale, ma dura tre secondi, e la scrittura ha a che fare con un artigianato che dura anni, con un sacco di prove. La voce di questo romanzo è nata provando in tutti i modi, tutti quelli possibili. Soltanto il mix di queste voci possibili ha poi creato la voce finale.
Chi è che racconta la storia di Jack Frusciante? Non lo so. C’è qualcun altro che è un conoscente del vecchio Alex e una persona informata dei fatti. È lui stesso da vecchio? È lui stesso tre anni dopo? È uno dei cari amici che vengono nominati nel libro? Un altro ancora? Non lo so. È una magia che è nata tra la mia cameretta di ragazzo e il fumoso Transeuropa alle tre del mattino.
L’intervista continua. Enrico racconta di come avesse un pregiudizio per i libri italiani, soprattutto perché erano quelli che venivano imposti dalla scuola. Ma, tra gli italiani, leggeva Tondelli, di cui nomina “Altri libertini”, “Rimini” e “Camere separate”. Non per niente, ha dedicato il libro ad Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli, due suoi ispiratori all’epoca.
Enrico parla degli anni ’90, dei drammi di quell’epoca, delle spade, dell’eroina che vedeva nelle strade, della Bologna “dove ognuno ha le sue chance ma dove nessuno ti regala mai un cazzo”.
Nel romanzo, Enrico cita “Due di due” di Andrea De Carlo.
Ci sono libri che ti aprono gli occhi. Questo è uno di quelli. Il bello della scrittura è anche che puoi omaggiare autori, musicisti, persone che ti hanno aperto gli occhi.
Il successo di Jack Frusciante
Enrico ha conosciuto Canalini nel febbraio del ‘92 e il libro è uscito a fine giugno ‘94, quando aveva meno di vent’anni, giovanissimo. Il libro partì con duecento copie: cento a Bologna e cento ad Ancona. Andò personalmente ad Ancona a prendere quelle per Bologna. L’editore gli consigliò di regalarne tre o quattro. Una di queste la regalò in modo rocambolesco, arrampicandosi sui tubi innocenti ad una festa, ad Alex Bolognese, che lo lesse e lo invitò a parlarne in tv. Da lì iniziò l’ascesa di Jack Frusciante. Quel libro, che aveva inizialmente lo spazio di una pila a Ancona e di una a Bologna, iniziò ad essere sempre più richiesto. E le pile calarono in fretta.
Ero alla Feltrinelli di Bologna, sempre lei, che leggevo a sbafo “I furiosi” di Nanni Balestrini, e entra una che chiede il mio libro. La commessa glielo dà e io mi emoziono. Dopo un quarto d’ora risuccede. Entra un altro e chiede lo stesso libro. E poi la commessa dice: “Però per essere un libro di una casa editrice indipendente sta andando abbastanza bene”. L’altra commessa, amica antipatica e impietosa, fa alla collega: “Ma non lo sai che è un caso letterario costruito a tavolino? È un libro che viene mandato in giro per vedere che reazioni suscita ma in realtà lo ha scritto Umberto Eco”.
Vi lascio scoprire il resto nell’intervista, che trovate integralmente qui: https://www.facebook.com/gogolandcompany/videos/505663126672533/. Vi consiglio di vederla, perché di aneddoti interessanti e divertenti, oltre quelli scritti in questo articolo, ce ne sono ancora molti. Non voglio togliervi tutto il gusto di scoprirli dalle parole di Enrico Brizzi in persona.
Non so come decifrare questa presentazione. È stata una chiacchierata tra amici, in un’atmosfera da concerto rock, con la goliardia che c’è durante la birra dopo la partitella di calcetto.
Non avevo mai conosciuto Enrico di persona. Posso dire di aver scoperto una persona fantastica, che avrei ascoltato ancora per ore e ore.
E che dire di Paolo Cognetti? Straordinario, disponibile, grande oratore.
Qui potete trovare la colonna sonora del suo “Le otto montagne”: http://readandplay.it/le-otto-montagne-paolo-cognetti/
Enrico Brizzi firma le copie di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” Enrico Brizzi firma le copie di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” Enrico Brizzi legge un estratto da “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” mentre Paolo Cognetti lo ascolta Paolo Cognetti intervista Enrico Brizzi Omar Pedrini canta “Sole spento” in acustico Pubblico in attesa un particolare degli interni della libreria Gogol & Company