di Stefano Ficagna
Il terrorismo di matrice islamica, partendo dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e passando per episodi come la strage al Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015, è una realtà con cui abbiamo dovuto confrontarci tuttə. Alessandro Busi, con il suo romanzo Fino all’inizio (pièdimosca edizioni), immagina una deriva di questi attentati che porta l’Europa al collasso e costringe noi, abituatə da anni ad avere a che fare con le migrazioni solo da privilegiatə, a cercare nell’espatrio la salvezza: è così che Luca, un trentenne in crisi senza più alcun legame, si ritrova da clandestino a bordo di un aereo diretto a New York, stipato in un compartimento buio e angusto con una misteriosa ragazza di nome Marta.
La playlist
Ascolta la playlist su Spotify: Fino all’inizio – Alessandro Busi
Sono due le coordinate principali nella playlist del romanzo, compilata attraverso le pagine del libro grazie anche al supporto dell’autore. Una è la città di New York, la meta in cui Luca e Marta cercano un nuovo inizio, evocata attraverso un classico come New York, New York di Frank Sinatra ma anche con i contributi più recenti di Jay-Z con Alicia Keys e dei R.E.M., l’altra è il grunge, qui presente con tre gruppi alfieri del genere come Soundgarden, Nirvana e Pearl Jam. Non poteva mancare Kiss the devil degli Eagles of Death Metal, il brano con cui a Parigi iniziò la sparatoria che costò la vita a novanta persone, ma la playlist spazia anche per il pop da classifica di Valeria Rossi e Sia, facendo un salto nel passato con Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni, protagonista di uno dei momenti più leggeri del claustrofobico viaggio di Luca e Marta.
Tracklist
- Tre parole – Valeria Rossi
- Empire state of mind – Jay-Z, Alicia Keys
- Kiss the devil – Eagles of Death Metal
- Spoonman – Soundgarden
- Stripsearch – Faith No More
- New York, New York – Frank Sinatra
- Smells like teen spirit – Nirvana
- Leaving New York – R.E.M.
- Questo piccolo grande amore – Claudio Baglioni
- Cheap thrills – Sia
- Wolf like me – TV on the Radio
- State of love and trust – Pearl Jam
E se i migranti diventassimo noi?
Fino all’inizio è principalmente la storia di Luca, narrata in prima persona da lui stesso. Lungo le pagine veniamo messi a parte delle sue ansie e paure, del modo in cui i genitori, crescendolo in maniera libertaria, sono riusciti a farlo chiudere a riccio invece di renderlo un pensatore indipendente. Passati i trent’anni si ritrova solo, i genitori rifugiatisi in Australia e la sua fidanzata allontanata in un sistematico piano per fare terra bruciata attorno a sé: non ha più un lavoro, nessun legame, la sua unica speranza è fuggire lontano ma riesce quasi a fallire anche in questo: ridendo di fronte a uno dei rigidi controlli all’aeroporto, si ritrova costretto a subire un interrogatorio che non può che far venire alla mente gli orrori di Guantanamo.
La ruota era un dodecagono diviso in spicchi. Ogni spicchio conteneva parole inglesi che conoscevo vagamente. Nello spicchio giallo c’era scritto Exposure to extreme temperature. Nello spicchio rosso c’era scritto Sexual humiliation. Nello spicchio arancio c’era scritto Rectal feeding. Nello spicchio azzurro c’era scritto Enclosure in tiny spaces. Nello spicchio verde c’era scritto Freedom.
Vede, signor Tosco, ci piace fare un gioco.
Guardavo il poliziotto che stava in piedi accanto alla ruota, senza incrociarne lo sguardo.
Ci piace che sia il nostro protetto a scegliere come dobbiamo aiutarlo a sbloccare le parole, a liberarsi dai pesi che porta nel cuore.
Nel mostrarci il tentativo di Luca di cercare una vita migliore, Busi illustra attraverso i suoi ricordi e le sue esperienze un mondo diverso da quello cui siamo abituati. Un mondo in cui gli attentati in Europa si sono intensificati anziché placarsi, che guarda agli Stati Uniti come una terra promessa dove crearsi una nuova vita e in cui, proprio per questo, è più difficile arrivare: Luca sarà costretto a ricorrere a un equivoco tassista per salire sull’aereo diretto a New York, ma le ore di volo saranno contraddistinte dalla stessa paura di morire che continua ad azzannarlo senza tregua, sia mentre crede di essere solo sia quando scopre che all’interno dello stretto rifugio in cui è steso c’è un’altra persona.
«Hai la voce strana.»
«Forse è perché mi sto liberando.»
«Di cosa?»
«Niente di speciale, non sto per raccontarti di avere omicidi sulle spalle, o chissà cos’altro. Non ho arti di plastica e di cicatrice ho per davvero solo quella sul ginocchio. Fino a oggi, e sono convinto che sarà così anche domani e dopodomani e domani l’altro ancora, ho percorso il sentiero più pianeggiante e tracciato che potessi percorrere. I miei genitori mi dicevano Perché non ci provi?, e io restavo lì, attaccato alle loro gonnelle. Marta, tu hai mai conosciuto una persona di trent’anni che va in crisi perché i suoi genitori si trasferiscono?»
«A dire il vero, no.»
«Nemmeno io, se escludo me stesso. I miei genitori, che ora vivono in Australia, sono pazzi, te l’ho già detto, e a me non restava altro da fare che stare nei binari. Quando cresci con due ragni che ballano il tip tap, e poi la breakdance e poi la mazurka, e poi boh, tu puoi solo camminare a modo per tutta la vita: puoi solo ragionare e pianificare a ogni passo, nella speranza di non inciampare mai.»
Quello fra Luca e Marta è un rapporto forzato che cerca la naturalezza. Chiusi in uno spazio angusto, senza conoscere niente l’uno dell’altra, procedono a tentoni fra avvicinamenti e improvvise tensioni, soprattutto quelle di Luca. Busi costruisce questa relazione attraverso una fitta rete di dialoghi ben riusciti, che porteranno lentamente alla luce anche i traumi di Marta e permetteranno ai due di risolvere alcune delle proprie ansie, mentre il tempo passa e New York si fa sempre più vicina.
«Tu come stai?», chiedo a Marta.
«Sento un po’ la pressione, ma tutto sommato, sto bene. Tu?»
«Anche io sto bene. Solo qualche pulsazione alle tempie. Forse sì, è la pressione, oppure questo frastuono dei motori. Poi c’è il formicolio alla gamba destra, che mi dà fastidio, ma di certo è dovuto alla posizione. Poi c’è l’acqua nei polmoni che mi accorcia il respiro, ma ormai la conosco, non mi preoccupa nemmeno più. Diciamo che la tengo sotto osservazione, sperando che si riassorba. E, per essere completo, ora sento anche più freddo di prima, ma è ancora sopportabile.»
«Per fortuna avevi detto che stavi bene!»
Boom! Marta si fa esplodere e ogni male scompare.
Ma non è vero, nemmeno ci penso quasi più; ci penso poco: un po’ mi dimentico, un po’ mi censuro. Preferisco le paure intime, quelle che provengono dalla vita di prima.
La storia narrata in Fino all’inizio ha svolte inaspettate, sembra incunearsi verso un finale per poi deviare improvvisamente traiettoria. È un altro dei pregi del libro che, districandosi fra temi seri e stacchi di leggerezza, mette in mostra alcune delle paure del nostro tempo, compresa quella di una generazione la cui fiducia nel futuro è direttamente proporzionale a quella nel prossimo: aprirsi all’altro, sembra suggerirci Busi, è essenziale per poter sperare, ma non può che trasparire la consapevolezza (insieme all’amarezza) di quanto è difficile riuscirci.
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