Svegliami a mezzanotte – Fuani Marino

di Luca Brecciaroli


Come si fa a recensire un libro del genere? Un libro che, pur nella sua semplicità e sincerità, ti catapulta in una realtà molto difficile, tremenda, apparentemente un vicolo cieco privo di vie di salvezza…

Svegliami a mezzanotte è la cronaca di un tentativo di suicidio andato male (ossia bene), una lettura quindi ostica, complessa, empatica, per molti versi rischiosa. Tuttavia, dopo averlo divorato due volte consecutive, tutto d’un fiato e, soprattutto, dopo aver avuto l’opportunità di incontrare l’autrice e scambiare con lei parole e impressioni, mi sono detto che in fondo si poteva fare, un commento breve e imperfetto è comunque ben poca cosa di fronte a una lettura che lascia senza fiato.

In Svegliami a mezzanotte la coraggiosissima Fuani Marino ha messo nero su bianco, senza filtri o censure, la sua vita, una vita difficile che l’ha vista protagonista del «gesto assoluto»: lei è una suicida sopravvissuta, che si definisce «sopravvissuta a se stessa». Sicuramente non l’unica, ma una delle pochissime (se non l’unica) che abbia raccontato la sua esperienza, e soprattutto l’abbia fatto in maniera così efficace.

Fuani ha 32 anni e una figlia di 4 mesi quando, in un giorno di fine luglio, si lascia cadere dal quarto piano di un edificio. L’evento, e ciò che lo precede e che lo segue, è raccontato senza alcuna omissione in Svegliami a mezzanotte, che l’autrice suddivide appunto in tre capitoli: PrimaCadutaDopo.

Questa l’unica frase che compone il secondo capitolo: «E poi sono caduta, ma non sono morta».

Con un viaggio a ritroso, l’autrice racconta tutta la sua vita, quella del «prima» che ha preceduto il salto nel vuoto. Ne esce un quadro non differente dalla stragrande maggioranza delle persone che conducono vite «normali», nelle quali ci si può tranquillamente riconoscere, dove tuttavia l’autrice riesce a cogliere momenti o eventi che andranno poi a creare il substrato sul quale si inserirà la sua decisione, a seguito dell’acuirsi di un disturbo psichico.

Esploriamo quindi con lei la sua infanzia, la sua famiglia, la scuola, la scuola di danza, le amicizie e le prime cotte, i primi episodi di ansia (comuni a tanti altri e anche per questo sul momento poco approfonditi), il liceo, l’università a Roma (psicologia, seguita da un dottorato), il fidanzamento seguito dal matrimonio, il lavoro da giornalista, la maternità… Una vita sostanzialmente comune, simile a quella di molti altri. Nel corso della sua vita, però, aumentano i disturbi che si fanno sempre più evidenti: la tiroide che non funziona a dovere, la stanchezza, l’ansia, le prime visite psichiatriche e psicoterapeutiche, i primi farmaci… Si arriva alla diagnosi di depressione e di bipolarismo. La maternità, poi, fa sì che il quadro si aggravi, fino a perdere del tutto il controllo, fino alla decisione di farla finita.

Quindi c’è il racconto del «dopo» caduta: la lunga degenza ospedaliera, il lunghissimo percorso riabilitativo per i gravi danni fisici subiti e quello altrettanto lungo, o probabilmente vita natural durante, per guarire la psiche. Questa parte contiene importanti e dettagliate riflessioni anche sul prima ma si arricchisce, e rende il libro ulteriormente degno di attenzione, cercando di darsi e di dare delle risposte sulle questioni del disagio psichico e del suicidio. Qui, complici anche gli studi in materia dell’autrice, oltre a una cultura significativa, si condividono moltissimi spunti di riflessione e di approfondimento, di conoscenza e di consapevolezza. L’autrice prende posizioni decise su temi complessi: perché, per esempio, si ha la tendenza a nascondere i disturbi mentali e vergognarsene mentre, al contrario, la lotta contro tumori e leucemia viene a volte condivisa se non esibita, suscitando quasi ammirazione e rispetto?

Con una forte azione politica, una riflessione lucida e una scrittura efficacissima, Fuani Marino non limita né circoscrive l’azione alla propria storia personale, ma la amplia e vuole lanciare un appiglio alle tantissime storie simili taciute e sepolte dalla vergogna, sommerse benché fin troppo spesso presenti nella realtà quotidiana.

Il libro diventa quindi uno «strumento letterario» elaborato per essere trasformato in un eccezionale mezzo di conoscenza: non è più «solo» il racconto della scrittrice, ma si esplicita anche attraverso numerosi riferimenti letterari e scientifici, che abbondano nel testo senza mai appesantirlo, perfettamente amalgamati con la materia originale. Il libro diviene un’autoindagine alla ricerca delle cause e degli effetti e, a un certo punto, si ha quasi l’impressione che da materia personale e privata, diventi messaggio e oggetto universale.

Nella terza parte di Svegliami a mezzanotte, quindi, si susseguono riflessioni personali e citazioni, attraverso le quali prende vita un dialogo molto interessante quanto doloroso sulla materia trattata, un dialogo che ovviamente non offre risposte (anzi, forse pone solo ulteriori dubbi), ma che si rivela quanto mai necessario e catartico. In agili paragrafi, anche in questo caso caratterizzati da una scrittura immediata ma mai banale e molto efficace, dubbi ed eventi occorsi vengono analizzati anche attraverso citazioni di molti studiosi (medici, psichiatri, filosofi), letterati e artisti. Sono molti, nessuno appare fuori luogo ed è pertanto difficile citarli tutti: Sarah Kane, Francesca Woodman, Virginia Woolf, David Foster Wallace, Primo Levi, Cesare Pavese, Sylvia Plath, Miriam Toews, Joan Didion…

Un filo rosso li lega quasi tutti, così come lega le due (anti)eroine letterarie più volte citate nel testo, Emma Bovary e Anna Karenina, anche per il loro aver abdicato alla maternità, ancora a volte concepita in ottica maschilista come un dovere sociale al quale non ci si deve o può sottrarre. O come si lega alla Signorina Else di Arthur Schnitzler, alla quale l’autrice si paragona ma con una sostanziale differenza:

Il mio monologo interiore non precede, bensì segue l’azione, ed è per questo forse più distaccato, portando con sé solo l’eco della disperazione e dell’angoscia che in genere conducono al suicidio.

In coda al libro, un’amplia e utilissima bibliografia arricchisce e completa questa preziosa lettura.

Profonde e concrete le ferite, i segni che l’autrice reca, nel corpo e nella mente.

Come potevo accettare quanto avevo fatto? Come potevo convivere con me stessa? A un certo punto ho finalmente smesso di rivivere la caduta, ma ancora oggi non ho capito esattamente come convivere con me stessa. Posso solo dire che è una convivenza difficile.

Molto impegnativa, ma ulteriore segno di consapevolezza e di statura, la scelta di utilizzare il proprio nome, il nome dei familiari, dei medici e di tutti coloro che hanno incrociato e incrociano il cammino di Fuani Marino. Lei stessa esplicita così la sua decisione:

Oltre a quello del 26 luglio, mi chiedo se si possa considerare un atto di autolesionismo anche la pubblicazione di questo libro

Ancor più toccante la dedica finale a sua figlia, una pagina di rara e profonda sincerità e poesia:

Ti diranno che tua madre è pazza, un’egoista, tu stessa avrai una moltitudine di cose di cui accusarmi, e a ragione. Ma ecco quello che non dovrai mai pensare: che io non ti abbia amata, o di avere una qualche responsabilità, o ancora che possa capitarti qualcosa di simile. Perché ogni persona ha la sua storia.

Svegliami a mezzanotte è una lettura necessaria, di forte impatto, una lettura che si fa tutta d’un fiato per ciò che l’autrice racconta. Poi, e questo è a mio avviso uno degli ulteriori punti di forza del libro, viene voglia di rileggerlo anche per come il racconto è scritto, per la sua scrittura asciutta ma ricca, precisa ma evocativa: in poche parole è evidente la qualità, oltre che il contenuto, dell’opera.

Un libro che, se non proprio a tutti, riesce comunque a parlare alle moltissime persone che hanno o hanno avuto a che fare con tali problematiche, che supera molti tabù, che consente di raccontare ciò che si tende da sempre a tacere, che è al tempo stesso autobiografia e racconto, saggio e romanzo, letteratura e scienza. Un libro terribile e meraviglioso, letterario e politico: una rivendicazione del diritto, in una società performante e competitiva, a essere infelici, diversi, a poter rimanere indietro, a non avere vergogna dei propri disagi e delle proprie difficoltà e fragilità.

Impossibile, almeno per me, non cogliervi l’impareggiabile insegnamento di Primo Levi, peraltro più volte citato dall’autrice, anche in apertura di un capitolo: «Nessuno è in grado di capire un suicidio. Per lo più non lo capisce nemmeno il suicida».

Trarre una colonna sonora da una tale lettura è compito improbo, arduo: nel testo non si fa praticamente cenno alla musica, fatta eccezione per la bellissima canzone che Charlotte Gainsbourg scrisse per la morte di sua sorella Kate. Eppure, avendo la musica anche un potere, almeno per chi scrive, salvifico, la playlist diviene cosa molto semplice, che esce quasi di getto, raccogliendo in maniera quasi compulsiva alcuni ascolti (forse troppi ma sarebbero potuti tranquillamente essere almeno il doppio…) più o meno collegati al tema in oggetto, anche se in chiave personale.

Editore: Einaudi

Ascolta la colonna sonora: https://open.spotify.com/playlist/10ac2SnxzrULMR4JWkGauL?si=fnTrLq67TXKOjyZJjEuAQw

La colonna sonora di “Svegliami a mezzanotte” di Fuani Marino
  1. So slow – Sophia
  2. Where the wild roses grow – Nick Cave & the Bad Seeds
  3. Titta – Pasquale Catalano
  4. You are my sister – Antony and the Johnsons
  5. World of blue – Spain
  6. She’s lost control – Joy division
  7. Che male c’è – Riccardo Sinigallia
  8. Needle in the hay – Elliott Smith
  9. I know you are but what am I? – Mogwai
  10. Death with dignity – Sufjan Stevens
  11. Hoppípolla – Sigur Rós
  12. Vieni a salvarmi – Andrea Laszlo De Simone
  13. If only – Sophia
  14. No distance left to run – Blur
  15. Tunglið – Ólafur Arnalds
  16. Jeremy – Pearl jam
  17. Waiting for you – Nick Cave & the Bad Seeds
  18. R U Lonely? – Graham Coxon
  19. LEH – Martin Kohlstedt
  20. Last goodbye – Jeff Buckley
  21. Lieve – C.S.I.