di Cristina Nori
La poetessa Amanda Gorman è stata scelta per declamare i suoi versi durante la cerimonia di insediamento del neo eletto Presidente americano Joe Biden perché rappresenta il simbolo di una generazione.
Gorman è una giovane donna istruita e impegnata, una rappresentante ideale dei giovani americani che hanno espresso, con il loro voto, la volontà di un cambiamento alla guida della prima potenza mondiale.
Il breve poema in versi liberi esprime proprio questo anelito al rinnovamento e lo fa con parole dirette e immagini più sfumate.
La metafora della collina che il popolo americano sta cominciando, lentamente, a risalire è un appello al nuovo Presidente degli Stati Uniti, dal quale ci si aspetta un cambiamento etico e comunicativo, prima ancora che fattuale.
La generazione che si riconosce nella poetessa aspetta che il Presidente Biden ponga fine alla comunicazione “cattiva”, al soffiare sul fuoco delle divisioni che lacerano il paese, e che lavori per riportare in auge il rispetto che è dovuto a tutti gli americani, di qualsiasi colore o religione.
Questo è il tempo del giusto riscatto.
Lo abbiamo temuto al suo avvento.
Non ci sentivamo di ereditare
Un’ora di così grande terrore.
Ma in quel momento abbiamo trovato la forza
Di scrivere un capitolo nuovo,
di concederci risa e speranza.
Amanda in apertura della sua composizione si rivolge direttamente alla coppia presidenziale, alla Vice Presidente e al Second Husband, ma anche all’intero popolo americano con un appello all’unità, auspicando una comunità di intenti che rispetti le differenze: liberi, diversi, ma uniti.
Un punto importante, che a noi può suonare strano, sta già nelle prime pagine del poema:
Noi, successori di un paese e di un tempo
in cui un’esile ragazzina nera,
discendente di schiavi, cresciuta da una madre sola,
può sognare di diventare presidente,
e ritrovarsi a declamare per chi lo è diventato.
L’esile ragazzina forse calca un po’ il tono sulla definizione che dà di sé stessa – non dimentichiamo che Gorman fa parte dell’élite laureata ad Harvard e ha già guadagnato diversi riconoscimenti per la sua opera poetica – ma la locuzione “discendente di schiavi” non può non colpire.
Anche Oprah Winfrey, nella sua prefazione, ne sottolinea la forza.
Noi italiani siamo discendenti di partigiani, di combattenti, di antirazzisti che hanno pagato a caro prezzo l’opposizione alla dittatura, ma non possiamo sapere quanto sia profonda la ferita di una ragazza che immagina le proprie antenate strappate alla terra natia, incatenate nei campi, stuprate e schiavizzate.
Una ferita morale che nemmeno la laurea con lode ad Harvard può cancellare e per questo Amanda fa bene a ricordarlo agli americani e al mondo intero.
Lo stile dell’autrice è molto efficace quando usa termini diretti, meno quando parla per immagini che la poesia europea ha già sorpassato da un po’, ma rispecchia le idee e le speranze della generazione a cui appartiene.
The hill we climb è pubblicato in Italia da Garzanti con la traduzione di Francesca Spinelli.
Playlist
Ascolta la playlist su Spotify: The hill we climb – Amanda Gorman
Il libro non cita esplicitamente nessuna canzone, quindi abbiamo deciso di improntare la nostra playlist su brani che celebrano l’identità americana e la lotta per i diritti civili. In apertura e in chiusura, due versioni dell’inno nazionale americano: la prima è quella tradizionale, mentre la seconda fu eseguita da Jimi Hendrix in chiusura del festival di Woodstock nel 1969.
Tracklist
- American National Anthem – Universal Band
- America the beautiful – Ray Charles (nella versione di Whitney Houston)
- We shall overcome – Joan Baez
- Strange fruit – Billie Holiday
- This land is your land – Woody Guthrie
- What’s going on – Marvin Gaye
- For what it’s worth – Buffalo Sprinfield
- If you’re out there – John Legend
- Eve of destruction – Barry McGuire
- Star spangled banner – Jimi Hendrix