di Davide Morresi
Stephen King è uno di quegli autori che o lo ami o lo odi. Quando esce un suo libro, migliaia di fan in tutto il mondo attendono l’apertura delle librerie come si attende l’apertura dei cancelli di un concerto rock. Altrettante migliaia di persone lo reputano invece uno scrittorucolo che in qualche modo ha venduto milioni di copie senza un motivo valido.
Questo è forse l’unico libro che può mettere d’accordo entrambi gli estremi. Perché? Perché On writing si distingue da tutte le altre opere per almeno due motivi.
Primo: non è un horror. Avendo incasellato romanzi che hanno cambiato l’immaginario mondiale della paura, anche grazie alle varie trasposizioni cinematografiche (chi non ha in mente l’accetta di Shining? E chi non pensa a It quando vede un clown?), le numerose storie che esulano da tale etichetta vengono comunque considerate horror. Basti pensare a 22/11/’63, una storia d’amore di rara intensità; L’ombra dello scorpione, un romanzo distopico dove la fede in Dio ha un ruolo fondamentale, che affronta temi quali la minaccia tecnologica e l’eterna lotta tra bene e male; Il miglio verde riflette sulla vecchiaia e, attraverso i miracoli, sulla religione.
On writing non è nulla di tutto questo e di certo non è un horror.
Secondo: non è un romanzo. E nemmeno una raccolta di racconti. Si tratta in parte di un’autobiografia, in parte di un mini saggio sulla scrittura.
Ne aggiungo un terzo: i numerosi riferimenti alle sue opere, a come sono nate e ai periodi in cui sono state scritte, sono fruibili anche a chi non ha mai letto nulla di King.
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– L’ultima intervista – Eshkol Nevo
– Il sogno di un hippie – Neil Young
La musica
Stephen King è un grande appassionato di musica. Molti suoi libri sono delle vere e proprie colonne sonore.
Ad oggi su Read and Play trovate le soundtrack di:
– It
– L’ombra dello scorpione
– Elevation
– 22/11/’63
Considerate che il primo paragrafo della prima prefazione di On writing (le prefazioni sono tre) è dedicato ai Rock Bottom Reminders, una rock band amatoriale, composta da scrittori, nata nel 1992 e di cui Stephen King fa parte. Già questo fa ben intendere quanto King sia legato alla musica. E non è la prima volta che un suo libro si apre con un riferimento musicale (L’ombra dello scorpione inizia con una citazione del testo di Jungleland di Bruce Springsteen).
Così, come altri suoi libri, anche questo è colmo di stralci di testi, nomi di cantanti e band, richiami a musiche e titoli di canzoni, usati per inquadrare un periodo, inspessire una scena, rimarcare un’emozione e, in genere, sottolineare l’importanza che la musica ha nella sua vita.
Si passa dagli album che ascoltava da bambino in vinile a quelli che tiene a tutto volume mentre scrive, dalle citazioni per sottolineare un concetto – “…mi ripeteva che era il momento giusto, per citare il titolo di un pezzo dei Chambers Brothers” – alla E Street Band di Bruce Springsteen, tirata in ballo con la passione di suo figlio per il sassofonista Clarence Clemons.
Io lavoro con un sottofondo di musica a palla, affezionato da secoli all’hard rock di AC/DC, Metallica e Guns N’ Roses, ma per me si tratta di un’alternativa al chiudere la porta. Mi avvolge, strappandomi alla mera quotidianità. Quando scrivete, non volete abbandonarvi il mondo alle spalle? Certo che sì, perché state dando vita al vostro universo personale.
Ascolta la soundtrack: On writing. Autobiografia di un mestiere – Stephen King
- Lemon – U2
- Dancing in the dark – Bruce Springsteen
- (You’re the) Devil in disguise – Elvis Presley
- School day (ring ring goes the bell)
- Palisades park – Freddy Cannon
- I’m ready – Fats Domino
- In my life – The Beatles
- The lions sleep tonight – The Tokens
- Won’t get fooled again – The Who
- Ruby (Don’t take your love to town) – Kenny Rogers & The First Edition
- Varie da inserire
- Pinhead – Ramones
- There is a mountain – Donovan
- Tangled up in blue – Bob Dylan
- Glad all over – The Dave Clark Five
- Brand new Cadillac – Vince Taylor & His Playboys
- Grandpa was a carpenter – Joon Prine
- Hang on sloopy – The McCoys
- Highway star – Deep Purple
- Sherry Darling – Bruce Springsteen
- Rick n roll train – AC/DC
- The call of Ktulu – Bruce Springsteen
- You could be mine – Guns N’ Roses
- Tha way you look tonight – Tony Bennett
- Dirty water – The Standell
- Time has come today – The Chambers Brothers
- Night and day – Ella Fitzgerald
La struttura
Il libro è strutturato in tre parti.
Nella prima parte Stephen King inizia dal suo primissimo ricordo, risalente addirittura a quando aveva due anni e mezzo. Parla dell’infanzia, della salute cagionevole che lo costringeva a letto, dei primi testi rifiutati dagli editori. Molto spazio è dedicato al legame con la madre. E racconta con onestà del periodo buio in preda all’alcool e alla cocaina.
Mia madre fu sepolta nel cimitero accanto alla chiesa congregazionalista di Southwest Bend. Quella che aveva frequentato in vita a Methodist Corners, dove Dave e io siamo cresciuti, era chiusa per il gelo. Pronunciai di persona l’orazione funebre. Me la cavai alla grande, considerando quanto fossi ubriaco.
On writing, uscito a quasi trent’anni di matrimonio, è anche una accorata dichiarazione d’amore. La moglie Tabitha, che sposò nel ‘71, è sempre presente, in tutto il libro. È Tabitha a leggere per prima ogni composizione ed è con lei che King si confronta per valutare qualsiasi storia.
Il primo successo, Carrie, finì nel cestino della cartastraccia. Stephen King ne era insoddisfatto. Da lì Tabitha lo raccolse, lo lesse e ne rimase talmente colpita che convinse il marito a terminarlo e a inviarlo in cerca di un editore.
Ha funzionato. Il nostro matrimonio è durato più a lungo di tutti i capi di Stato mondiali, con l’eccezione di Fidel Castro, e se proseguiremo a chiacchierare, litigare, fare l’amore e ballare al ritmo dei Ramones (gabba gabba hey), credo che resteremo insieme per sempre.
La seconda parte è una sorta di vademecum per l’aspirante scrittore. King descrive quali sono gli strumenti base, a suo parere, che chiunque intenda scrivere dovrebbe avere.
Non ci sono cani cattivi, almeno secondo il titolo di un fortunato manuale di addestramento, ma provate a raccontarlo al genitore di un bambino straziato da un pitbull o un rottweiler; probabilmente vi spaccherà il naso. E malgrado la mia volontà di incoraggiare scrittori coscienziosi e alle prime armi, non me la sento di mentire sostenendo che non esistono cattivi autori. Mi dispiace, ma ce ne sono a frotte. Alcuni lavorano per il vostro giornale locale, in genere recensendo piccoli spettacoli teatrali o pontificando sulle squadre sportive dei dintorni. Altri scribacchini si sono fatti la casa ai Caraibi, lasciandosi dietro una scia di avverbi palpitanti, personaggi bidimensionali e ignobili forme verbali passive.
La prima regola è: leggere e scrivere tanto. Di continuo e con costanza. E provare piacere nel farlo. “Scrivere deve procurare gioia” dice King. Altrimenti, lasciate perdere.
Dopo questa premessa, si passa alla “cassetta degli attrezzi”. Ogni scrittore ne ha una ed è lì che deve cercare quando posa le dita sulla tastiera. Stephen King ammette che gli strumenti possono essere variabili e che non ce ne sono di giusti e sbagliati. Ogni scrittore costruisce con il tempo la propria cassetta. Però, dice, almeno quattro attrezzi devono essere sempre presenti. Schematizzando, sono:
- il linguaggio: frasi semplici e dirette, pochi paroloni, zero ostentazioni;
- la grammatica: le frasi sono fatte di soggetti e verbi, meglio se in forma attiva;
- gli avverbi: eliminarli, il più possibile;
- il paragrafo: determina il ritmo della lettura, preferibili quelli brevi.
Lo scrittore ammette che sono frequenti le occasioni in cui egli stesso non usa tali attrezzi. Perché ogni regola ha le sue eccezioni e perché le regole sono fatte anche per essere infrante. Ma se chi scrive non le conosce, non può nemmeno infrangerle.
King poi spiega come stimolare la fantasia alla ricerca di una buona intuizione. Questa parte del libro è corredata di numerosi casi personali, esempi, riferimenti alla genesi di alcuni romanzi.
Nella terza parte lo scrittore riprende l’autobiografia e racconta di come, nel ’99, proprio mentre stava scrivendo On writing, venne investito durante una delle sue passeggiate giornaliere. Riportò numerosi traumi e dovette sottoporsi a ben sette operazioni. La convalescenza fu lunga e dolorosa, attenuata solo dalla presenza costante di Tabitha. Il trauma non gli permise di scrivere per molto tempo, sia perché King era psicologicamente distrutto, sia perché non riusciva a stare seduto alla scrivania per molto tempo (una delle fratture era all’anca, inoltre non era in grado di piegare un ginocchio).
In chiusura si trova un elenco di circa centocinquanta libri, che Stephen King ritiene essere i migliori letti dal 1995 al 2009 (elenco integrato presente nell’ultima edizione uscita ad ottobre del 2017, la versione iniziale contava un’ottantina di titoli).
Punti di forza
Stephen King si mette a nudo e raccoglie aneddoti e vicende della propria vita personale per nutrire chi lo ama e per presentarsi in veste diversa a chi lo odia. Ne scaturisce la figura di un uomo che, pur nel successo milionario, vive di solidi principi e di un’eccezionale determinazione.
Il linguaggio è semplice e la scrittura scorrevole.
C’è molta (auto)ironia: un King che sa anche far ridere.
Punti di debolezza
Pur dimostrando la propria umiltà e pur affermando che i pareri contenuti nel libro sono personali e quindi del tutto opinabili, Stephen King cade sovente nella saccenteria. Molti obietterebbero che lui, il Re dell’horror, può permetterselo, però…
Editore: Sperling & Kupfer – Pickwick