di Luca Brecciaroli
L’arsenale di Svolte di Fiungo, pubblicato da Manni (2020), è un romanzo autobiografico scritto da Loris Campetti, giornalista e storica firma de il manifesto, alla sua prima esperienza con il genere romanzo.
Come indicato nel risvolto di copertina «ci son voluti quasi cinquant’anni perché Loris Campetti si decidesse a raccontare questa storia, la sua storia». Il racconto ci conduce infatti ai primi anni Settanta quando, in seguito a una falsa accusa di detenzione di armi e la relativa ipotesi di collaborazione con il terrorismo rosso, Campetti dovette addirittura rendersi latitante per circa cinque anni, dal 1972 al 1977. Con maestria ed efficacia, l’autore riesce quindi a catapultare la sua vicenda personale all’interno del clima rovente degli anni Settanta, degli anni di piombo che, suo malgrado, dovette vivere in parte sulla propria pelle, fino all’assoluzione con formula piena, ma con tanti dubbi che resteranno irrisolti.
Campetti ci introduce in una vera e propria full immersion di quegli anni, sia dal punto di vista culturale con tanti riferimenti musicali e sociali, sia soprattutto dal punto di vista politico, facendoci rivivere quel clima, oggi decisamente incomprensibile per chi non l’abbia vissuto di persona, fatto di riunioni interminabili, volantinaggi, azioni dimostrative, picchetti nelle fabbriche e occupazioni di università. Bellissime le descrizioni dei poliedrici volti della rappresentanza politica di sinistra: trotzkisti, marxisti, maoisti, leninisti, stalinisti, ortodossi, massimalisti, “cani sciolti” oppure di Lotta continua, Autonomia operaia, Avanguardia operaia, del Manifesto o “semplicemente” comunisti… Un cosmo ricco e variegato, dove bastava poco per essere trascinati in discussioni interminabili, se non per passare all’azione. E quando, come noto, qualcuno oltrepassò il limite e passò al terrorismo, l’autore descrive bene i rischi che si sarebbero corsi, e che infatti hanno poi determinato ciò che è accaduto.
In questo quadro si inserisce la vicenda personale di Campetti, i racconti della sua infanzia maceratese e poi il momento della laurea in chimica all’Università di Camerino, che non poté nemmeno festeggiare poiché proprio in quei giorni fu oggetto di una perquisizione e di un mandato di cattura per le accuse sopra indicate e, in particolare, per il possesso di una mappa che riproduceva in modo dettagliato la zona tra Camerino e Fiungo. Peccato che la mappa era una delle tante che si potevano acquistare in libreria, ma soprattutto che serviva all’autore per andare a funghi! Altro che terrorismo… Il clima venutosi a creare lo costrinse tuttavia alla fuga e alla clandestinità, prima in un improbabile rifugio a Gallipoli, presto lasciato per dirigersi verso Roma, ospitato da un conoscente fidato di famiglia. Da qui inizierà un pellegrinaggio verso il Piemonte (sarà collaudatore di automobili per la Fiat), poi la chiamata al servizio militare, prima a Roma, poi trasferito a Spilimbergo (per aver partecipato a una manifestazione politica), poi di nuovo in Piemonte dove ottiene una cattedra per insegnare matematica. Qui si fidanza e tutto sommato si trova bene, la sua attività politica prosegue e non ha molta intenzione di rientrare nel gretto ambiente marchigiano. Ha inoltre avviato la sua cinquantennale collaborazione con il manifesto, che lo appassiona e lo coinvolge. Ma resta l’accusa pendente: vero è che in quegli anni migliaia di persone erano più o meno coinvolte in accuse simili, quasi sempre fasulle e costruite ad arte dai servizi segreti deviati, ma tant’è, l’accusa era ancora in piedi e ovviamente non lasciava tranquilli.
Si scopre che la piccola e tutto sommato isolata Camerino era uno snodo centrale dello stragismo nero coperto dagli apparati deviati dello Stato. Il protagonista del romanzo, o meglio l’antagonista, è proprio la strategia della tensione messa in atto dai servizi deviati e fascisti: come noto, anche se ancora oggi non si è messa la parola fine su alcune tristi vicende di quegli anni (vedi Piazza Fontana o Stazione di Bologna o la morte di Pinelli, solo per fare degli esempi noti), negli anni Settanta in particolare questi soggetti crearono le basi per la sanguinosa stagione dello stragismo, che coinvolse migliaia di persone, molte delle quali purtroppo furono vittime sacrificali. Alcune storie oscure cominciavano comunque a emergere (Campetti racconta di un’inchiesta di Panorama che faceva riferimento proprio alla questione legata a Camerino) e si giunge, nel 1977, al processo anche per l’autore che, in un clima oramai quasi di “guerra aperta”, viene finalmente assolto. Ma l’assoluzione lascia con un po’ di amaro in bocca per via dei patimenti e delle ingiustizie subite, tanto che l’autore afferma «Volevo verità e giustizia, è arrivata solo la verità, e non completamente». La narrazione arriva peraltro fino ai giorni nostri, quando Campetti ricerca ancora gli atti dell’inchiesta che lo ha riguardato e scopre che sono rimasti sepolti dal terremoto di Camerino, anche se la storia si conclude con la telefonata che gli annuncia il recupero dell’armadietto (uno dei tanti armadi misteriosi che rimandano all’immaginario di quell’epoca…).
Stupendi i personaggi della sua famiglia, descritti nelle pagine iniziali della storia, su tutti lo zio barista e pasticcere stalinista Lontano, e quelli che egli incontrerà poi negli anni della fuga, come il compagno romano Quinto, che lo ospita in casa sua, e lo studente greco Kiriacos in fuga dalla dittatura dei Colonnelli. Incredibile la vicenda, che ci fa rivivere altri tempi, intrighi incredibili e romanzeschi, che invece erano all’ordine del giorno in gran parte della Penisola. Per pura coincidenza avevo conosciuto da poco la vicenda di Maria Vittoria Pichi, da lei molto ben raccontata in Come una lama (pubblicato da Ventura nel 2018): similitudini inquietanti di come bastasse un soffio per avere la vita spezzata o segnata per sempre.
Molte le citazioni musicali presenti nel racconto, che fanno da cornice all’epoca dei fatti narrati: ecco quindi Nada, Pietrangeli, Dalla, Fossati, Fontana, Paul Anka… Alcuni versi di Jimmy Fontana sono anche utilizzati per descrivere il “consueto”, poiché comune a quasi tutti gli scrittori marchigiani, sentimento di odio-amore verso questa regione.
Ma ogni volta che ci torno, a Macerata, faccio il conto alla rovescia per affrettare il momento in cui me la lascerò alle spalle. Altro che “non vorrei non vorrei più partir / pagherei tutto l’oro del mondo / se potessi restarmene qui”, come cantava Paul Anka nel lontano festival di Sanremo del 1964.
Una vera e propria chicca è la canzone Il disertore, un inno al pacifismo e all’antimilitarismo: la canzone venne scritta dal grande Boris Vian nel 1954, come protesta contro le guerre che la Francia stava conducendo in Indocina e in Algeria, e divenne ben presto molto famosa benché censurata dal governo e poi ripresa da molti altri. (Di Boris Vian trovi qui la recensione del suo romanzo Sputerò sulle vostre tombe.)
In Italia venne interpretata, tra gli altri, da Ivano Fossati. Le altre aggiunte sono canzoni che riportano al periodo narrato e fanno oramai parte da tempo dell’immaginario storico di quella stagione.
Editore: Manni
Ascolta la colonna sonora: L’arsenale di Svolte di Fiungo – Loris Campetti
- Il cuore è uno zingaro – Nada
- Manifesto – Paolo Pietrangeli
- Che sarà – Jimmy Fontana
- 4/3/1943 – Lucio Dalla
- Le déserteur – Boris Vian
- Il disertore – Ivano Fossati
- Ogni volta – Paul Anka
- Bandito senza tempo – Gang
- Eskimo – Francesco Guccini
- Agosto – Claudio Lolli
- Contessa – Paolo Pietrangeli
- Ballata per l’anarchico Pinelli – Canzoniere Internazionale
- Bella ciao – Banda Bassotti