di Luca Brecciaroli
La nostalgia è la malattia dell’Inghilterra. – disse Doug – Gli inglesi sono ossessionati dal loro maledetto passato… e guardate dove ci ha portato di recente. I tempi cambiano. Mettiamoci il cuore in pace.
Un’epopea british
C’è tanta, tantissima Inghilterra in Middle England, l’ultimo romanzo di Jonathan Coe, uno splendido affresco su un Paese confuso e in-felice degli anni contemporanei.
Coe non è nuovo a opere del genere, un riuscitissimo mix tra romanzo che si può definire per molti versi storico e analisi sociologica e culturale della sua nazione. Lo scrittore tratteggia delle affascinanti epopee sulla maniera, con le dovute differenze, dei grandi romanzi dell’Ottocento e del primo Novecento, romanzi che catturano il lettore e lo catapultano nella narrazione, che è sempre vivace e realistica, psicologicamente molto attenta e sociologicamente approfondita, oltreché culturalmente assai stimolante, con continui riferimenti alle altre arti, in particolare la musica.
Questo lo sfondo, anzi gli sfondi, delle sue principali opere, a partire da quel vero e proprio capolavoro imprescindibile che è La famiglia Winshaw, risalente all’ormai lontano 1994. Altrettanto può dirsi, ovviamente a modesto parere di chi scrive, per la trilogia che proprio con Middle England trova la sua conclusione, una trilogia che esplora gli anni Settanta e Ottanta con il bellissimo La banda dei brocchi, prosegue negli anni Novanta con Circolo chiuso e termina nella contemporaneità brexitiana con Middle England. Un lasso di tempo lungo, anche se in linea di massima contemporaneo che, allo stesso modo, ha impegnato l’autore per quasi venti anni.
Per molti critici quello attuale non è più il Coe degli esordi, lo scrittore ha perduto, a giudizio di molti, lo smalto e la brillantezza iniziali: non saprei, ho atteso a lungo e divorato in pochi giorni le oltre quattrocento pagine di Middle England e reputo il romanzo interessante, ben scritto, coinvolgente e molto documentato circa il mondo contemporaneo. Certo, chi scrive privilegia da sempre le atmosfere e le espressioni della cultura british e l’immersione che ci regala Coe può dirsi, sempre per i numerosi appassionati dell’isola, sicuramente avvincente, riuscita e, perché no, perfetta. Ma, ribadisco, questo può accadere se si è interessati alle vicende di Tony Blair, David Cameron e Boris Johnson tanto quanto a quelle nostrane: cercare anche solo di capire marginalmente cos’è stato, e sarà, la Brexit, richiede uno sforzo enorme e una buona conoscenza delle dinamiche britanniche…
Pensavo che Tolkien si fosse ispirato a loro quando ha inventato gli hobbit. No, dico sul serio, sono in molti a pensare che Il signore degli anelli in realtà parli di Birmingham.
Coe e la Brexit
La trama, come per gli altri romanzi della trilogia, segue in particolare il nucleo familiare dei Trotter il cui precedente protagonista è ora giunto all’approssimarsi della terza età e lascia quindi buona parte della scena alla più giovane Sophie, sua nipote, insegnante e donna infelice e confusa, che attraversa una (più che diffusa) crisi di passaggio verso l’età adulta. Ma la vera protagonista della scena è Brexit, con tutte le piccole e grandi catastrofi che genera nelle persone e nella società. Meglio di tanti saggi e articoli, Coe ne descrive con efficacia e in maniera comprensibile a tutti gli effetti sulla vita reale, su quanto la politica sia centrale nelle nostre vite, su quanto le scelte politiche da fine Novecento abbiano generato dei «mostri» sociali e culturali, composti da società escludenti, ingiuste e inique. Tanti concetti, solo apparentemente ostici poiché Coe, con maestria e leggerezza tipica dei grandi romanzieri, si lascia leggere tutto d’un fiato e, oltre a farci appassionare alle vicende dei personaggi, riesce anche nell’intento di far riflettere sui grandi temi della contemporaneità, ovviamente in ottica britannica, ma in fin dei conti simili e universali.
Brexit genera scompigli indicibili: non a caso l’autore ricorda il drammatico omicidio della deputata Jo Cox, generato dalla corrente di odio scatenata da chi volle la Brexit per un mero calcolo politico, un calcolo fatalmente sbagliato, che ha spazzato via i suoi stessi fautori in un batter d’occhio (qualcuno si ricorda di David Cameron?!?) e che avrà conseguenze enormi sulle vite di tantissime persone.
Sarebbe bello se Coe continuasse il racconto per descrivere i prossimi anni, ma quasi sicuramente non accadrà, anzi, nelle note finali del romanzo egli stesso afferma che questo non sarebbe dovuto essere un libro collegato a quella che è diventata una trilogia, ma è stata una scelta in fondo suggeritagli e richiesta da più parti. Tant’è che ha appena pubblicato un libro dedicato a Billy Wilder.
La colonna sonora
A quanto pareva, l’ultimo che aveva ascoltato erano gli XTC. Superò Wilson Pickett, Vaughan Williams, i Van der Graf Generator, Stravinskij, Steve Swallow, gli Steely Dan, gli Stackridge e i Soft Machine prima di arrivare al nome che stava cercando, quello di Shirley Collins, la cantante folk del Sussex di cui aveva iniziato a collezionare i dischi negli anni ottanta.
La musica, come detto, è sempre centralissima negli scritti di Coe: è una vera e propria parte del romanzo in particolare ne La famiglia Winshaw e, ancor più, nello splendido La banda dei brocchi, il cui titolo è tratto da un album del gruppo inglese Hatfield and the North (che sono citati anche in questo romanzo) e in cui si narra, a fianco alle vicende politiche, la nascita e la diffusione della scena punk inglese.
Anche in questo romanzo la musica è molto presente, in particolare nella canzone Adieu to old England di Shirley Collins che viene citata in apertura e in chiusura come una sorta di manifesto. La versione originale della canzone non è disponibile su Spotify, se ne trovano altre interpretazioni, ma si può rintracciare al link che segue:
Scritta nel 1974, Adieu to old England rappresenta chiaramente, negli intenti dell’autrice, un inno nostalgico per un’Inghilterra che non c’era più. Per la serie dei corsi e dei ricorsi storici, il messaggio della canzone è facilmente riutilizzabile per l’Inghilterra di oggi, che vive un’altra fase di importanti cambiamenti.
Le altre canzoni citate nell’opera spaziano molto tra gli anni Ottanta e Novanta e, come spesso accade nei lavori di Coe, spaziano anche molto tra i generi, passando dalla classica al punk.
Un altro bel passaggio musicale è dedicato alla morte di Amy Winehouse e alla reazione che scatenò nella giovane e ribelle Coriander: «Quando udì la voce aspra e sottile di Amy che intonava Some unholy war, dovette ricacciare indietro le lacrime».
Editore: Feltrinelli
Ascolta la colonna sonora su Spotify: Middle England – Jonathan Coe
La tracklist
- Piano Trio in D minore, opera 120 – Gabriel Fauré
- Adieu to old England – Shirley Collins
- Tears dry on their own – Amy Winehouse
- Some unholy war – Amy Winehouse
- Diamonds are forever – Shirley Bassey
- God save the Queen – Sex Pistols
- Theme from tubular bells – Mike Oldfield
- Aigrette – Hatfield and the North
- The lark ascending – Ralph Vaughn Williams
- For tomorrow – Blur