Isola di Diego Passoni: che ne dici di un documentario a Milano?

di Eleonora PizziI fiori di carta sullo sfondo sono di Opificio Imaginarium


Non sta in bolla nella metrica, ma il titolo di questa recensione del romanzo Isola di Diego Passoni va canticchiato sulla melodia dell’attacco di Un romantico a Milano dei Baustelle: il doppio filo di contraddizioni che tesse le trama di questa canzone e il dualismo tra gli opposti descritti nel testo diventa, nel romanzo del conduttore di Pinocchio su radio Deejay, un tessuto intricato che moltiplica la complessità e la quantità di contrasti da tenere insieme. La trama dell’opera edita da Mondadori, e Milano stessa che nella narrazione va ben oltre l’essere un personaggio, è una matrioska di isole: per induzione, si parte dalle isole-abitanti degli appartamenti all’interno della casa di ringhiera di via De Castillia, ci si allarga all’isola-vecchia casa di ringhiera di via De Castillia nel mare del nuovissimo quartiere Isola, si naviga fino all’isola-quartiere Isola nell’oceano della città tutta e si approda all’isola-Milano nella vastità del contesto nazionale e internazionale. Dentro queste pagine che paiono un idromassaggio in perenne ebollizione, sensazione che la scrittura di Diego rende in maniera efficacissima, sfrigolano tante piccole bollicine di interculturalità, solidarietà, rispetto e accettazione: ballano insieme ad altrettante bolle di povertà, ignoranza, criminalità e spietato giudizio, lusso ostentato a qualsiasi costo e vincoli sociali vissuti come destino ineluttabile, come una grande crew di street dance contemporanea, che pare un accrocchio disarticolato di maltrainsèma (*) e però vista da fuori è inspiegabilmente armonica e ipnotizzante.

La musica citata non fa eccezione

Si capisce, dunque, come in questo quadro schizofrenico ma coerente della città sia possibile la convivenza di Beyoncé, Loretta Goggi, Amy Winehouse, Rosario Miraggio Lola Falana e l’afro dance, oltre a Edith Piaf e Don’t cry for me Argentina nella colonna sonora dei brani e degli artisti citati da Diego nel testo di Isola. Spesso le canzoni simboleggiano i personaggi o i luoghi, altre volte irrobustiscono la potenza delle azioni descritte; sempre testimoniano la capacità di accoglienza e nel contempo di rifiuto, passando attraverso tutte le sfumature tra questi due estremi, anche quando vengono nominate playlist fittizie (o reali, non è dato sapere) ascoltate dai personaggi in momenti topici. Diego coinvolge il lettore e la lettrice nel mondo musicale di “Isola” zig-zagando fuori dagli schemi dell’uso dello musica come strumento evocativo nei romanzi, come allo stesso modo fa durante tutto il corso della storia con descrizioni, riflessioni e dialoghi. Leggere per credere.

La tracklist

In grassetto le canzoni, le/gli artisti e i generi musicali citati nel libro; nel caso sia nominata/o una/un artista e non un suo brano specifico, la canzone nella playlist riferita all’artista citata/o è liberamente scelta da Read and Play

1. Domenica bestiale – Fabio Concato
2. Via dei Ciclamini – Orietta Berti
3. Lili Marleen – Marlène Dietrich
4. Hymne à l’amour – Edith Piaf
5. Picciola serenata – Antonio Salieri (musica classica di Radio Marconi 2)
6. Hung up – Madonna
7. Jenny from the block – Jennifer Lopez
8. Afro dance – DJ Vyrusky, Shatta Wale (afro dance)
9. Reggaeton – J Balvin (reggaeton)
10. Primme e me fa ‘nnamurà – Rosario Miraggio
11. Tu si l’ammore overo – Emiliana Cantone
12. Pon de replay – Rihanna
13. Come Milano – Ghali
14. Doll parts – Hole
15. Cocktail d’amore – Cristiano Malgioglio
16. Love is a losing game – Amy Winehouse
17. Come te non c’è nessuno – Rita Pavone
18. 6 Inch – Beyoncé ft. The Weeknd
19. Halo – Beyoncé
20. Tutta donna – Lola Falana (brano non presente su Spotify; link a Youtube)
21. Dopo la tempesta – Marcella Bella
22. Maledetta primavera – Loretta Goggi
23. Tu ca nun chiagne – Mario Merola
24. Permission to dance – BTS
25. Bella ciao
26. Don’t cry for me, Argentina – Pixie Killz
27. O cieli azzurri – Leyla Gencer

La playlist

Ascolta la colonna sonora di Isola su Spotify: Isola – Diego Passoni

Più che romanzo, un documentario

Certi non detti sono sono gesti d’amore che non verranno mai svelati, come quando ti sistemano il plaid mentre dormi strematə sul divano e ti si erano scoperti i piedi.
Non lo sapremo mai, quante forme di cura ci ha praticato chi ci ama.

Il tono della scrittura è quello del documentario: accompagna tra le vite di Milano e dei suoi personaggi come una guida con un ombrello giallo fluo teso verso il cielo, e c’è bisogno di tutta la sua fluorescenza perché spessissimo la Milano-personaggio si intreccia con la Milano reale, si fondono insieme e ci si domanda se quel luogo esista davvero, se quel personaggio sia una persona autentica, se i fatti narrati siano accaduti, se quei dialoghi tra personaggi storici chiamati affettuosamente per il solo nome di battesimo si sia verificato. Salvifica in questo senso è la postilla del libro, che presenta le ispirazioni concrete di molti punti della trama: solo per citarne alcune tutte da scoprire e approfondire, la “sindrome Italia” delle badanti straniere, il lavoro preziosissimo e commovente della dott.ssa Elena Cattaneo, la Società delle Giardiniere, il locale della sottocultura queer Nuova Idea, il fiorista Offfi che ha creato la composizione floreale fotografata in copertina e ha dato il la a uno degli abitanti fittizi della casa di ringhiera di via De Castillia. Le vicende dei personaggi, spesso narrate da un punto di vista spiazzante e con un modo insolito (rimane impresso il passaggio in cui viene presentata la luna come testimone oculare -ma, ahimè, muta- dell’atto vandalico che dà una svolta alla storia), sono la scintilla da cui fluiscono considerazioni che fanno prendere consapevolezza sulla società e su sé stessi a vari livelli. Non ci sono mezzi termini nel linguaggio, come le guide davvero scafate Diego Passoni porta il lettore solo nei luoghi dove la città è più vera; quel che sembra interessargli è restituire la verità senza imbellettamenti, ché a quello ci pensa già tutta la retorica agglomeratasi a strati, ormai fossilizzati, sulla città. Un lavoro ormai più da archeologo che da narratore, ma Diego e la passione che infonde in ogni sua iniziativa hanno indossato il cappello da Indiana Jones e nulla li ha potuti fermare.

(*) nessun dialetto milanese è stato imbruttito durante la scrittura della recensione. Lo giuro su questo.


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