Febbre – Jonathan Bazzi

di Monia Mancinelli


Non gli credo.
Ho paura che non sia vero.
E se non è vero, stiamo solo perdendo tempo. La malattia progredirà indisturbata: le stiamo lasciando campo libero, il mio corpo a disposizione. Di me può fare quello che vuole.

Fenomeno editoriale del 2019 che gli vale una candidatura al Premio Strega, Febbre è l’opera prima di Jonathan Bazzi e racconta la vicenda personale del suo autore, la cui vita, che scorre tra una lezione alla facoltà di Filosofia della Statale di Milano, una di yoga e una relazione con Marius, viene cambiata per sempre da una febbre che sembra non passi.

Una settimana, due settimane.
Un mese.
[…]
La colonnina di mercurio incantata.

Il medico di base a cui si rivolge Jonathan minimizza: sarà la solita influenza stagionale (in fondo, è gennaio). Niente antibiotico. Solo integratori e tanto riposo.
La febbre non passa. Il dottore opta per la mononucleosi. Ma servono le analisi. Due settimane di attesa, poi il responso. Le analisi convincono il dottore che sia mononucleosi: “Devi stare a riposo, bere molto, avere pazienza. L’ho avuta anche io. Non si cura: passa da sola”.
La febbre non passa. In Jonathan si insinua un pensiero. Il pensiero di una malattia che si manifesta in questo modo, e la cui diagnosi fa ancora paura, nonostante la ricerca oncologica abbia fatto passi da gigante: leucemia. E con lei, la chemio.

Ah, ma scusa, non ti hanno inserito l’emocromo, l’esame di base, la cosa più importante, la prima che si va a controllare. Globuli rossi, globuli bianchi, piastrine: se c’è un’infezione si vede da lì, se c’è un tumore pure. […] Pensavo di avertelo segnato, invece mi sarò distratto. Scusami, a volte sono un disastro. Facciamo l’emocromo e già che ci siamo controlliamo anche qualche altra cosa. Da quanto non fai l’esame dell’HIV?

Jonathan non l’ha mai fatto. Sarà questo test a dare una risposta alla sua febbre.
Glielo dice un dottore del San Raffaele.

Incontro questo dottore con l’aria da sacerdote e immediatamente lui conosce un sacco di cose di me. Vengo ricondotto a una comunità, a una storia, a una casistica. Il virus dell’HIV conferma che sei gay e che hai fatto sesso. Magari troppo, in modo promiscuo.
Vabbè, ma mica solo i froci.
Ma nell’immaginario comune.
È quello che conta.
Dica dottore, dica pure: io sono pronto. Preferisco questo ad altro. L’HIV oggi si tiene sotto controllo. Lo so, l’ho letto: star male e morire, un giorno, come tutti, si vedrà. Lui però non sembra preparato alla mia reazione. Si aspettava altro. Si aspettava un pianto, qualche smorfia, almeno un cenno di disperazione?
Vuole di più?
Puoi fare di meglio.
Quando mi capita di raccontare alla gente, agli amici, al mio medico di famiglia, il modo in cui ho reagito alla diagnosi nessuno capisce come sia possibile. Perplessità, sguardi confusi. Sì, nel momento in cui scopro di avere l’HIV, io sono contento.
Sollevato.

Il suo corpo racconta però una storia diversa: Jonathan comincia la cura, ma dorme quasi tutto il giorno, inizia ad avere vuoti di memoria, perde la sensibilità agli arti.

Ho qualcosa di neurologico. Se gli esami del sangue erano a posto, deve essere per forza il cervello. È per questo che dimentico le canzoni e sento la gamba che mi abbandona.

La mente corre alla sclerosi multipla e alla SLA. E invece è solo il corpo che testimonia lo stato di una mente che non può razionalizzare con freddo distacco una diagnosi di HIV. Almeno non subito. Almeno non così in fretta.
Il 20 aprile 2016 Jonathan inizia la psicoterapia con la dottoressa Nuvola dell’Ospedale Sacco. Lo ricorda come il giorno più importante della sua vita: quello in cui si è lasciato convincere da sua madre e dal suo fidanzato ad affrontare la realtà delle cose e a vivere con consapevolezza la malattia. Una consapevolezza che passa attraverso la scrittura, perché…

scriverlo, farlo sapere anche agli altri, è un po’ anche un modo per dare un senso allo spaesamento che a tratto avverto pensando a tutti quelli come me che questo virus si è portato via. Avrei potuto essere uno di loro, sono uno di loro. Ciò che ci differenzia non è merito mio, non è in mio potere. Io non avrei potuto fare niente per evitarlo. È la ricerca, lo studio continuo di centinaia, migliaia di donne e di uomini che non conosco. Sono figlio di mia madre ma ora anche della medicina, che m’ha regalato, già subito insieme alla diagnosi, i confetti rosa pallido che fanno nascondere il microscopico conquistatore nel quale a un certo punto sono incappato.
Fanno sì che si rintani, come i miei gatti quando attacco l’aspirapolvere.
Il virus, una bestiola un po’ scema che ha paura del rosa, tipo i ragazzi di Rozzano.
Tutto arriva sempre dopo un sacco di spoiler.
 

La musica nel romanzo

La musica costella il romanzo con i nomi di tanti artisti (più che con le loro canzoni) nella parte dedicata al passato di Bazzi, trascorso a Rozzano, cap 20089. Rozzano, che è Milano, ma non è Milano: è piuttosto il Bronx del Sud di Milano.

Bazzi nasce da due genitori ragazzini, che presto si separeranno.
Il padre, Roberto, è figlio di due rozzanesi che fanno gli impiegati, Pier, di origini milanesi e che ascolta Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e le canzoni in dialetto milanese, e Nuccia, di origini siciliane. È un amico di infanzia di Biagio Antonacci (uno dei pochi rozzanesi che ha avuto successo senza essere uno sportivo o un giornalista sportivo), ha vent’anni, non ha voglia né di studiare né di lavorare (anche se per mantenere la sua neonata famiglia diventa agente di polizia) ed è un grande fan di Renato Zero: “Mio padre, che negli anni sfotterà gli omosessuali e terrà la foto di Mussolini nel portafoglio, da giovane è un sorcino”.
La madre, Tina, ha diciassette anni ed è cresciuta in una famiglia di napoletani, figli a loro volta di napoletani emigrati a nord negli anni Sessanta in cerca di lavoro: il padre, Biagio, fa l’operaio, mentre la madre, Lidia, è casalinga. E napoletano è anche il vicino sguaiato e pericoloso Carmelo, che ascolta Nino D’Angelo e Mario Merola a tutto volume di giorno mentre è ubriaco e porta sua moglie Rosy a prostituirsi di notte.
La madre si rifà una vita mentre Jonathan è alle medie con un uomo di nome Alex, caporeparto della gastronomia del supermercato dove Tina fa la cassiera: intrattabile, dal carattere di merda, attagabrighe, però si dà arie da latin lover copiando il look di Bon Jovi, George Michael e Miguel Bosè.

Jonathan scoprirà la propria identità di omosessuale durante gli anni delle medie perché preferisce la musica che ascoltano le ragazze: Ambra Angiolini, Spice Girls, Björk (Hyperballad è la sua preferita), Carmen Consoli, Cristina Donà, PJ Harvey, Alanis Morissette, Madonna.
Ernesto, il primo ragazzo di cui si innamorerà Jonathan al liceo (non ricambiato perché eterosessuale), a ventitré anni perderà l’ispirazione per disegnare e scapperà da Milano per rifugiarsi in Trentino e diventare illustratore delle canzoni di De André e di De Gregori.
La migliore amica di Jonathan, Simona, si fidanzerà per un po’ con un ragazzo che suona la chitarra e canta credendosi il Kurt Cobain dell’hinterland milanese ma fuori tempo massimo.
E infine Mattia, il primo uomo con cui Jonathan fa sesso, ha una fissa per la musica house.

Una sola concessione musicale al presente di Jonathan: una canzone di Beyoncé, Daddy Lessons, che gli si fissa in mente quando deve prendere la decisione di collaborare con Giuliano, una delle prime persone ad avergli dato una possibilità con la scrittura nel 2014 che lo richiama a collaborare nella redazione di un magazine online conosciuto: il primo sito LGBT nato in Italia.

Editore: Fandango

Ascolta la soundtrack: playlist Febbre – Jonathan Bazzi

Tracklist:

  1. Liberatemi – Biagio Antonacci
  2. Com’è bella la città – Giorgio Gaber
  3. Ho visto un re – Enzo Jannacci
  4. O mia bela Madunina
  5. La favola mia – Renato Zero
  6. ‘Nu jeans e ‘na maglietta – Nino D’Angelo
  7. L’urdemo emigrante – Mario Merola
  8. Always – John Bon Jovi
  9. Too funky – George Michael
  10. Se tu non torni – Miguel Bosè
  11. Miserere – Zucchero feat. Luciano Pavarotti
  12. Lithium – Nirvana
  13. T’appartengo – Ambra Angiolini
  14. Wannabe  – The Spice Girls
  15. Hyperballad – Björk
  16. Confusa e felice – Carmen Consoli
  17. Stelle buone – Cristina Donà
  18. Is this Desire? – PJ Harvey
  19. Thank U – Alanis Morissette
  20. Ray of Light – Madonna
  21. Smisurata preghiera – Fabrizio De André
  22. Compagni di viaggio – Francesco De Gregori
  23. Get Get Down – Paul Johnson
  24. Daddy Lessons – Beyoncé