di Cecilia Gariup
Per quelli con cui prendo il caffè della mattina: Rudy, Cecil e Clyde.
Non mi è mai capitato di pensare alla recensione di un libro in relazione alla dedica. Molti libri non ce l’hanno, o a me non colpisce particolarmente. Ma oggi, riprendendo in mano “Dove tende la luce” per iniziare a scriverne, dopo averlo letto tutto d’un fiato (è l’effetto David Joy, ve lo assicuro!), ho rivisto la dedica in apertura del libro e, in effetti, mi sono detta che è proprio da lì che devo partire.
Sì, perché chi è che non ha una “banda del caffè del mattino”? Amici, famigliari, colleghi o, semplicemente, persone di cui poco ci interessa se non condividere una consuetudine, un momento di sospensione del giudizio e dell’affanno quotidiano, un doveroso attimo di distrazione. Io ce l’ho, la mia banda del caffè, e me la tengo ben stretta perché per me il valore degli attimi di leggerezza è, nel tritacarne quotidiano, inestimabile.
In questo libro, indubbiamente, la leggerezza non è di casa. Nemmeno la condivisione lo è, e nemmeno un buon caffè. È difficilissimo scorgere la luce citata nel titolo, se non in rarissimi momenti carichi di sentimento che, a contrasto con il buio narrato, emerge in modo prepotente e incontrollato.
È buffo come basti una sola persona che si prenda del tempo per dimostrarti che ci tiene, per far sì che tutte le cose brutte non sembrino poi tanto brutte almeno per un momento. Non è che i demoni se ne vadano da qualche altra parte. Quello che ti tormenta è ancora lì quando riaffondi, ma quell’unico gesto da parte di una persona può farti risalire in superficie per un secondo o due.
In bilico, tra luce e disperazione
Ma il sangue McNeely che scorre nelle sue vene lo ha già condannato, e non c’è pioggia scrosciante o desiderio di fuga che possano dilavarlo, sollevando Jacob dal solco di un destino già tracciato. L’amore per Maggie è l’unica ancora di salvezza, il braccio teso che la vita gli allunga, a ricordare che, nel bene e nel male, siamo fatti di istinti, passioni e desiderio di relazione.
Nessuno mi aveva chiesto il permesso di entrare. Dentro di me c’era un posto in cui la maggior parte delle persone non avrebbe voluto neanche dare un’occhiata, figuriamoci entrare a farne parte, ma Maggie aveva sempre bussato alla porta. Maggie aveva sempre cercato di fare l’impossibile per togliermi di dosso un po’ del peso, e io non glielo avevo mai permesso. Non potevo permetterglielo allora e non ero sicuro di poterlo fare adesso, ma l’unica cosa certa era che avevo portato addosso quel peso per troppo tempo.
“Dove tende la luce” è un libro asciutto, in cui la voce del protagonista Jacob narra un presente che gli chiede un conto salatissimo per il passato della sua famiglia. E tra le voci da pagare c’è anche l’impossibilità del lusso di progettare un futuro.
Si arriva alla fine del romanzo e, rigirandoselo tra le mani, si benedicono gli amici del caffè.
La colonna sonora
Papà si avvicinò al giradischi, sollevò il braccio, posizionò la puntina sul solco e fece partire il disco dall’inizio. Le prime note di For the Sake of the Song iniziarono a gracchiare e scoppiettare dalle casse. Papà girò la manopola del volume e la voce malinconica di Townes si librò.
La musica presente nel libro fa perlopiù parte della tradizione folk e country americana; viene spesso citato Townes Van Zandt, che il padre di Jacob ascolta a volume molto alto per coprire i dialoghi legati ai suoi loschi traffici.
La tracklist
- I’d love to lay you down – Conway Titty
- She thinks I still care – Solomon Burke
- For the sake of the song – Townes Van Zandt
- Don’t you take it too bad – Townes Van Zandt
- Colorado girl – Townes Van Zandt
- Be thou my vision – Audrey Assad
- I will sing the wondrous story – The celebration choir
- Mama tried – Merle Haggard.
“Dove tende la luce” è un romanzo del giovane scrittore americano David Joy, pubblicato in Italia da Jimenez con la traduzione di Gianluca Testani.