di Luca Brecciaroli
Come mosche nel miele è un potente romanzo di formazione, parzialmente autobiografico, della scrittrice milanese Francesca Tassini. Nata sul finire degli anni Settanta, l’autrice ambienta il suo racconto subito dopo gli anni della «Milano da bere» di craxiana memoria, quando la capitale del nord Italia era una città in movimento, un movimento con i suoi effetti collaterali, ma in grande fermento. E tra gli effetti collaterali c’era un livello molto pesante di tossicodipendenza, che l’autrice ci racconta dal di dentro in maniera molto efficace, facendo entrare il lettore nella Milano underground e parallela.
Uno degli elementi più toccanti del racconto è la predestinazione della protagonista verso l’incontro con l’eroina, il desiderio ardente di entrarci in contatto, emerso peraltro molto presto, nell’adolescenza, un desiderio narrato in maniera esemplare per molte pagine che descrivono l’avvicinamento al momento della prima «spada» (che avviene a pagina 185), consapevole e bramato, in un crescendo di esperienze e sensazioni. Da qui, una discesa negli inferi e la descrizione della routine della tossicodipendenza, anche questa tracciata in maniera asciutta e aderente alla realtà, tra famiglia, scuola, amici.
Tra le due strade che poi sostanzialmente si aprono in un tale percorso, la morte o la speranza di uscirne, l’autrice riesce a imboccare la seconda e ci guida in maniera anche in questo caso molto efficace nel percorso di disintossicazione, tra comunità di recupero e reparti psichiatrici, in un racconto molto vivido e doloroso, in molti passaggi anche più dell’esperienza con l’eroina, verso un epilogo che solo raramente può essere felice, e che in effetti rimane come tale, un po’ sospeso.
Molto interessante il fatto che la protagonista del romanzo provenga da una famiglia «normale» (per quel che tale aggettivo possa significare), come tante altre, circondata da amore e affetto, con genitori aperti e moderni, ma nonostante ciò vive quello che sembra essere un destino inevitabile, doloroso, ma anche ricchissimo di esperienze, di alti e bassi, di sensazioni rese in maniera vividissima dal racconto dell’autrice.
Certo, non si può evitare l’accostamento, se si è nati come l’autrice (e chi scrive) negli anni Settanta od Ottanta, con pilastri del genere come Trainspotting, i Basketball diaries di Jim Carroll oppure Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, ma questo bel romanzo di formazione (e di autodistruzione) regge pienamente il confronto. Anzi, nei capitoli ambientati a Berlino i racconti si toccano, fino quasi a incrociarsi. Come la Christiane F del celebre zoo berlinese, anche l’autrice racconta la sua adolescenza in maniera alquanto realistica, viva, di una ragazza piena di vita e di energia. Gran parte delle energie, a un certo punto, purtroppo vengono assorbite dalla ricerca della roba, totalizzante e straniante, ma resta l’enorme voglia di vivere e di fare esperienze, che potrebbe anche essere stato, in definitiva, il salvagente che conduce al lieto fine, quando in storie simili di lieto fine purtroppo se ne contano ben pochi.
Come mosche nel miele completa un mio recente personalissimo percorso nel quale musica e letteratura si intrecciano a storie legate alle «sostanze», arricchendo le riflessioni proposte dalla musica di Edda (che ha tantissimo in comune con l’autrice e con i fatti narrati, a partire dalla stessa ambientazione) e dalla lettura di Muro di casse di Vanni Santoni (che narra l’epopea della cultura rave in uno splendido saggio romanzato) e di Piccola città. Una storia comune di eroina di Vanessa Roghi (un saggio molto interessante tra biografia e storia), e lo chiude come meglio non si potrebbe, con un racconto potente, vero, spiazzante, soprattutto privo di autocommiserazione e retorica.
Il rapporto con la musica è onnipresente nel racconto, e affianca la crescita e le esperienze alle canzoni.
Mi piace aprire e chiudere la playlist, in larga parte indicata dall’autrice stessa in molti momenti del racconto, con due grandi della musica milanese che raccontano, anche se in maniere differenti, l’esperienza con la tossicodipendenza. Edda, al secolo Stefano Rampoldi, che ne è una sorta di emblema avendo lasciato all’apice del successo la band Ritmo tribale per perdersi nei meandri dell’eroina, fino al suo «miracoloso» ritorno a una seconda vita e a una seconda carriera musicale, meravigliosa e sincera, ed Eugenio Finardi, milanesissimo e in grado di raccontare l’esperienza dell’eroina in una canzone densa di sensazioni come un vero e proprio romanzo.
Editore: Solferino
Ascolta la colonna sonora: https://open.spotify.com/playlist/5FvbgYTbMlAmPdQ1CsVfIS?si=A6bnOEtyTBy_3rznYhZeVA
- Milano – Edda
- Time bomb – Rancid
- No fun – Sex pistols
- Disorder – Joy division
- Time – Pink floyd
- Jealous guy – John Lennon
- Lithium – Nirvana
- Cani sciolti – Sangue misto
- Space oddity – Davie Bowie
- Emilia paranoica – CCCP – Fedeli alla linea
- Sing – Blur
- Changes – David Bowie
- A perfect vision of the rising Northland – Immortal
- No good (Start the dance) – The Prodigy
- I wanna be your dog – Joan Jett & the Blackhearts
- She’s in parties – Bauhaus
- Shatter (All my dead friends) – London after midnight
- Lucretia my reflection – Sisters of mercy
- Closer – Nine inch nails
- Heroin – The velvet underground
- Scimmia – Eugenio Finardi