di Monia Mancinelli
“Mi sai dire la data di oggi? Giorno, mese e anno.”
Annuisco e inizio a fare i conti.
“Oggi è martedì 15 giugno, 1994”.
“14, martedì 14. Mi sai dire giorno, mese e anno della tua data di nascita?”
“26 aprile ‘74”.
“Quindi hai vent’anni. Sai perché ti trovi qui?”
Davanti agli occhi, appuntite, avvelenate, fioccano le immagini di ieri sera.
“Sì.”
Daniele Mencarelli ha vent’anni e una sera d’estate, in un’esplosione improvvisa e incontrollata di rabbia, tenta di uccidere il padre.
La sua sembra essere una rabbia congenita, che fa parte di un modo di essere di Daniele che lo accompagna da sempre:
Da quando sono nato non ho fatto altro che portare disordine, un’esagerazione dietro l’altra, tutto un impulso da seguire, nel bene come nel male. Non so vivere in un altro modo, non riesco a sfuggire a questa ferocia: se c’è una vetta la devo raggiungere, se c’è un abisso lo devo toccare.
Viene portato in pronto soccorso, e lì i medici decidono di sottoporlo a un Trattamento Sanitario Obbligatorio:
Il dottor Cimaroli insieme al collega del pronto soccorso ha deciso per il trattamento, l’iter è questo, abbiamo avvisato il tuo comune di residenza e il tribunale di Velletri, stamattina via fax è arrivato il loro nulla osta, quindi per sette giorni sei obbligato al ricovero e a ricevere le nostre cure.
Daniele è dunque costretto a trascorrere una settimana nel reparto psichiatrico maschile di un ospedale, in attesa che i medici, attraverso una serie di colloqui programmati, decidano la natura della sua malattia e la cura migliore per affrontarla.
Nella settimana che trascorre al reparto psichiatrico e che scandisce i sette capitoli di cui si compone il romanzo, l’autore entra in contatto con una variegata umanità di cui fanno parte medici, infermieri e compagni di ricovero coatto.
I personaggi
Quella che colpisce maggiormente è formata dai “pazzi” che condividono la stanza con Daniele. Quattro sono già presenti al suo arrivo, mentre il quinto entrerà a far parte della “brigata” il giorno dopo.
Alessandro ha l’età di Daniele ed è in uno stato catatonico invincibile dal giorno in cui suo padre lo ha lasciato solo a tirare su un tramezzo. Senza un motivo apparente, i suoi occhi e la sua vita sono avvolti da un vuoto assoluto di cui si prende cura il padre, quarant’anni di muratura alle spalle e separato da una donna che lo ha lasciato per un polacco tanti anni prima.
Mario ha sessantaquattro anni e un’incredibile somiglianza con Brian May. Nella vita ha fatto il maestro di scuola elementare, e quando è stato messo in pensione per la malattia che si portava dentro non ha retto l’onda d’urto e ha tentato di uccidere la moglie e la figlia, che per questo motivo se ne sono andate di casa. Si prende cura di un uccellino che ha nidificato sull’albero appena fuori dalla finestra della loro stanza, custodisce in maniera ossessivo-compulsiva l’ordine degli oggetti che tiene sul comodino e mangia solo mele cotte.
Gianluca ha quarant’anni e un’anima divisa tra una parte bianca che lo fa pensare solo al sesso e una parte nera che lo fa pensare solo alla morte. Ha un rapporto conflittuale con sua madre, che non sa accettare il fatto che Gianluca sia gay.
Madonnina ha intorno ai trent’anni e ha tentato di dare fuoco a Daniele il primo giorno che è entrato nell’ospedale psichiatrico. Ha occhi neri consumati da una brace che testimonia l’angoscia che si porta dentro e che non sa dire se non attraverso una giaculatoria personale che fa così: “Maria ho perso l’anima! Aiutami Madonnina mia!”
Giorgio è un bestione di trent’anni con le braccia piene di tagli che gli servono per far uscire l’urlo di dolore che si porta da quando, a dieci anni, gli impediscono do veder per l’ultima volta sua madre, morta mentre andava al mercato rionale.
Questi uomini, con le loro vite sconclusionate, mettono Daniele davanti a un’umanità che sa provare un dolore sincero e sa fargli sperimentare un senso di fratellanza che non ha ancora mai provato al di fuori di quelle mura; una fratellanza che nasce dal riconoscimento della condivisione di una condizione:
Dal corridoio mi fermo a guardarli. Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli.
Forse loro, malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitata d’incontrare.
Questi uomini, con le loro vite segnate dalla malattia mentale, mettono Daniele davanti a un’umanità che si tende a ghettizzare perché con la sua presenza è capace di mettere in discussione il modello di vita e di successo imposto dal pensiero consumistico e omologante e da una scienza che tende a invadere quegli spazi che dovrebbero essere lasciati al libero fluire della vita e della creatività, come afferma Mario:
Non sto dicendo che non esiste la malattia mentale, ci mancherebbe, ho conosciuto squilibrati da mettere i brividi, gente che godeva del dolore altrui. Ma oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo, mentre la scienza vorrebbe contenere, catalogare. Ormai è tutto malattia, ma vi siete chiesti perché? […] Perché un uomo che si interroga sulla vita non è più un uomo produttivo, magari inizia a sospettare che l’ultimo paio di scarpe alla moda che tanto desidera non gli toglierà quel malessere, quella insoddisfazione che lo scava da dentro. Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi.
Questi uomini, con le loro vite rinchiuse, mettono Daniele davanti alla sua condizione interiore di ragazzo alla disperata ricerca del senso della propria vita e alla libertà di manifestarla senza sentirsi analizzato e giudicato:
Che cura può esiste per come è fatta la vita, voglio di’, è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, vojo mori’.
Alla fine dei sette giorni Daniele troverà il nome della sua malattia. Questo nome non è quello dato dal dottor Cimaroli – depressione maggiore, curabile con un trattamento farmacologico a base di Paroxetina, un serotoninergico – ma è quello che dà Daniele stesso – salvezza – e che riassume nelle pagine finali del romanzo:
Bastava talmente poco.
Bastava ascoltare, guardare negli occhi, concedere.
Una volta, una sola volta.
Invece non lo hanno fatto.
Perché per loro non eravamo degni di essere ascoltati.
Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani.
Questo abbrutimento è la scienza?
Non aprirsi alla pietà, svuotare l’uomo sino alla sino a farlo diventare un ingranaggio di carne. Sentirsi padroni di tutte le risposte.
È questa la normalità? La salute mentale?
La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai.
Una settimana fa volevo ammazzare la vita per la sua totale illogicità, per la certezza che nulla è prevedibile, che mi tocca in dote la maledizione di vivere senza mai farci l’abitudine, a niente, al bene come al male.
Vivrò da infelice, prima o poi il dolore avrà la meglio, ma non siete voi quello che voglio diventare.
Editore: Mondadori
La soundtrack
Ascolta la colonna sonora: Tutto chiede salvezza – Daniele Mencarelli
Nel corso del romanzo rari sono i riferimenti alla musica.
Essa è presente nel reparto psichiatrico perché Mario assomiglia straordinariamente a Brian May dei Queen (di cui uno dei migliori assoli è contenuto in “Bohemian Rhapsody”, che lo stesso chitarrista ha proposto durante la quarantena, svelandone i trucchi) e perché Gianluca canta sotto la doccia un brano di Michael Jackson (di cui proponiamo “Black or White”, il singolo più famoso dell’album Dangerous del 1991 che segna la fine della collaborazione del re del pop con Quincy Jones e l’affidamento ai produttori Bill Bottrell e Teddy Riley, i quali lo aiutano a modernizzare i suoni e le melodie).
Ma la musica entra grazie soprattutto alla tv della stanzetta in cui gli infermieri vanno a passare il tempo vuoto del turno, sintonizzata su “Un disco per l’estate” su Rai 1 o sul karaoke di Fiorello su Italia 1 o sui Mondiali di calcio.
Nell’estate del 1994 la regina incontrastata è Corona con la sua Rhythm of the Night – anche se Daniele confessa all’infermiera Rossella di preferire la musica techno, che in quell’anno sforna Chase di Robert Hood.
Nell’estate del 1994 il karaoke era diventato una trasmissione di culto, anche se nel gennaio dello stesso anno aveva rischiato di chiudere per lo scarso share (5%). Fu salvato solo grazie a un’operazione degli autori che, nella tappa di Pescara e Vasto, avevano chiesto l’aiuto di Marco Felicioni, apprezzato concertista di fama internazionale, che si occupò di individuare in zona validi cantanti per contrastare i dilettanti ed elevare così il livello della gara. In quell’occasione Piazza Salotto si riempì di 20 000 persone, ma a vincere non fu Felicioni con My way di Frank Sinatra bensì uno scatenato ragazzo di Termoli che imitò Elvis Presley (non ho trovato il video, quindi propongo Blue Suede Shoes). A Vasto invece vinse uno dei cantanti segnalati da Felicioni, Stefano Coduto con il brano di Ron Una città per cantare.
Nell’estate del 1994 ci sono i Mondiali di calcio in USA, il cui tema per la copertura ITV del torneo fu Gloryland di Daryl Hall & Sounds of Blackness. La sera successiva alla cerimonia di apertura l’Italia debutta contro l’Irlanda (perdendo 1-0) e la partita diventa l’occasione per Daniele, Gianluca e Giorgio di passare una serata diversa in compagnia di pizza e birra gentilmente procurati dall’infermiera Alessia.
Per arricchire l’ascolto, abbiamo contattato Daniele stesso, che gentilmente ci ha proposto 3 altre canzoni: Psychokiller dei Talking Heads, Je so’ pazzo di Pino Daniele e La sera de miracoli di Lucio Dalla. Daniele ha scelto questi brani per i seguenti motivi: “Psychokiller e e Je so’ pazzo in maniera ironica e irriverente trattano da angolazioni diverse il tema della follia, intesa come margine sociale, la terza perché è una canzone che Dalla ha scritto e dedicato a Roma tanti anni fa, una sera estiva, calda e immobile, come quella del romanzo”.
- Bohemian Rhapsody – Queen
- Black or White – Michael Jackson
- Rhythm of the Night – Corona
- Chase – Robert Hood
- My Way – Frank Sinatra
- Blue Suede Shoes – Elvis Presley
- Una città per cantare – Ron
- Gloryland – Daryl Hall & Sounds of Blackness
- Fratelli d’Italia – Goffredo Mameli e Michele Novaro
- Amhrán na bhFiann – Liamm Ó Rinn e Patrick Heeney
- Psychokiller – Talking Heads
- Je so’ pazzo – Pino Daniele
- La sera dei miracoli – Lucio Dalla