Storie di periferia in “Troppo tardi per tutto” di Ivan Ruccione

di Stefano Ficagna


Padri incapaci di svolgere il proprio ruolo, adolescenti problematici, famiglie disastrate e, su tutto, la mancanza di prospettive di cui chi vive in provincia può fare esperienza meglio di altri: Ivan Ruccione dipinge coi suoi racconti le vite di persone comuni nelle quali sembra troppo tardi per tutto, così come esemplifica il titolo, cercando di far luce però su quelle scintille di umanità che ancora resistono sotto i traumi e i fallimenti.

La playlist

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Dal cantautorato al punk, dal jazz al grunge: la musica del libro di Ruccione attraversa più decenni, elemento importante nelle vite dei suoi personaggi tanto per definirli quanto per gettare una luce malinconica sul loro passato. I punk protagonisti di Rappresaglia ascoltano in macchina gli Stiff Little Fingers e portano tatuato sulla tempia il logo dei Black Flag, Pearl Jam e Nirvana fissano in contorni di due diverse solitudini adolescenziali, Janis Joplin viene evocata poco prima di una sbronza di Southern Comfort dalla stessa ragazza che a casa, prima di far sesso, mette su un vinile di Miles Davis. Tenco rappresenta il legame con un padre che cerca faticosamente di riprendersi da una dipendenza, De Gregori viene citato con la sua Buonanotte fratello proprio in apertura dell’omonimo racconto: su tutta la raccolta aleggiano i versi iniziali di Quello che non c’è degli Afterhours, specchio della desolazione che avvolge le vite dei personaggi.

La tracklist

  1. Afterhours – Quello che non c’è
  2. Luigi Tenco – Lontano, lontano
  3. Francesco De Gregori – Buonanotte fratello
  4. Pearl Jam – Daughter
  5. Nirvana – Milk it
  6. Black Flag – Nervous breakdown
  7. Stiff Little Fingers – Wasted life
  8. Janis Joplin – Kozmic blues
  9. Miles Davis – So what

Quello che non c’è

Dopo l’esordio con il romanzo A fuoco vivo, uscito nel 2017 per Miraggi Edizioni, Ivan Ruccione passa alla forma breve tanto amata con questa raccolta uscita per la casa editrice Augh!. Nei quattordici racconti di Troppo tardi per tutto si sente forte il peso dell’assenza, tanto di qualcosa di specifico quanto della mancanza di orizzonti che rende disillusi i personaggi. Fra giovani segnati da adolescenze con troppe mancanze affettive e adulti incapaci di prendersi le proprie responsabilità, Ruccione indaga con sguardo impietoso all’interno di famiglie infelici, spesso traumatizzate dai lutti. Le storie che li vedono protagonisti sono semplici, spesso brevissime, istantanee di vite colte in specifici momenti che raramente sono quelli risolutivi, come se non ci fosse né prima né dopo un evento capace di renderle diverse.

Mi avvio verso l’uscita mentre papà se ne sta con lo sguardo fisso sui binari, nel punto in cui spariscono dietro la curva. Infilo le mani in tasca, la busta dei panni dondola attorno al ginocchio. Sento tra le dita il metallo del tagliaunghie e la carta della banconota, ma non ho voglia di tornare indietro. Penso a mia sorella, e a mio padre che la aspetta. Io lo so che non tornerà più, ma questo una volta lo sapeva anche lui.

Partenze

I racconti della raccolta sono scarni, crudi, rappresentano una realtà che non vorremmo osservare nella vita di tutti i giorni, fatta di dipendenze, problemi mentali e fragilità emotive che spesso sfociano in atteggiamenti aggressivi. Sono storie intrise di solitudine e silenzi, in cui il passato schiaccia ogni speranza per il futuro: vaghiamo fra uomini che cercano di sfogarsi inutilmente nel sesso online dopo essere stati lasciati dalla moglie (Sexit), ragazze costrette a fuggire da un ambiente famigliare pervaso di violenza (Buonanotte fratello), adolescenti contesi subdolamente dai genitori (Come prima) e gravidanze che non portano la gioia che dovrebbero (L’increato). L’abilità di Ruccione è quella di farci entrare in empatia coi suoi personaggi, anche quando questi si rendono protagonisti di atti riprovevoli, perché ci sono ben pochi carnefici che non siano a loro volta vittime, come il punk che organizza una spedizione punitiva verso il nazi che gli ha reso un braccio inutilizzabile (Rappresaglia).

Finito di pranzare abbiamo fatto una passeggiata. C’era un bel sole e abbiamo cantato Tenco. Siamo andati in libreria e papà ha preso Cheever e ho dovuto insistere per regalarglielo. Dopo un po’ ha detto che doveva rientrare, così abbiamo preso l’autobus e siamo tornati a Villa Rosa. L’ho accompagnato in reparto e Jimmy gli ha dato il raccoglitore delle urine per verificare che non avesse bevuto alcolici. Ho aspettato che andasse in bagno, consegnasse il contenitore all’infermiere e poi ci siamo abbracciati forte per salutarci. Eravamo fermi in quella posa sulla soglia quando ho sentito crescere dentro di me i pezzi di un triste monologo che ho soffocato distaccandomi per primo.

Stabat Pater

Pur nella mancanza di prospettive che emerge dai racconti, acuita da ambienti poco accoglienti e panorami fatti di strade che si perdono nel nulla e stazioni (Vigevano, città natale di Ruccione, è fortemente presente in entrambi i suoi libri anche coi suoi angoli meno attraenti), la raccolta si chiude con un piccolo raggio di speranza: forse è possibile trovare le energie per fare i conti con ciò che ci ha segnato, cercare di aprire delle porte verso chi abbiamo perso per strada in modo da perdonarli, e perdonarci a nostra volta.


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