Nessuna voce dentro di Massimo Zamboni, il racconto di una genesi

di Alessio Barettini


Lo sappiamo tutti. Senza Massimo Zamboni non avremmo avuto né i CCCP – Fedeli alla Linea, né soprattutto i CSI, il Consorzio Suonatori Indipendenti di cui oggi sentiamo così tanto la mancanza nel nostro panorama culturale musicale. Molti accusano la frammentazione ideologica dei suoi componenti. Senza voler entrare in polemiche che poi sono sempre sterili, non si può non riconoscere che se c’è qualcuno che usa la stessa voce da sempre in modo coerente, questo qualcuno è Massimo Zamboni. Chitarrista e oggi scrittore, la musica di Zamboni è da sempre lo specchio di un’ideologia, di un insieme di valori che si esprime nei suoi album più recenti (La mia patria attuale è uscito nel 2021) attraverso i richiami al migliore cantautorato italiano ed è il segno di una posizione individuale attenta alla storia, agli umili, agli sconfitti, che di politico ha la rivelazione, di comunitario ha l’esito e che proprio per questo si fa amare di più.

Editore: Einaudi

Il legame con la storia

Così è per i suoi libri, tutti da esplorare, tutti con un forte substrato storico. Quello in cui si sente più forte il legame con la musica, e in questo caso con la (sua) biografia è Nessuna voce dentro – Un’estate a Berlino Ovest. Qui c’è il memoriale di una fuga, di un viaggio alla scoperta di sé. Siamo nel 1981, Massimo ha  poco più di 20 anni e sceglie Berlino come punto di approdo, la vive occupando una casa insieme ad altri “besetzter” e lavorando nella pizzeria Da Salvo per mantenersi. Il racconto è ricco di aneddoti spesso anche divertenti, i ritratti dei personaggi secondari funzionano bene per completare il quadro dell’epoca, affrescato di vagabondaggi notturni e riflessioni senza fine. Poi il Muro, die Mauer, al femminile, la signora a cui i berlinesi si rivolgono con rispetto, è una curiosità prima latente poi sempre più marcata. E i tratti del suo carattere attraverso il racconto dei fatti: l’imbarazzo della visita della mamma e quello più profondo nei rapporti con l’altro sesso, la dolcezza infinita di sapersi appartenere a un gruppo, essere parte di qualcosa di unico, saper vedere di là dal muro non come fanno tutti, non come diceva Kennedy, che il muro è la dimostrazione che il comunismo non ha funzionato. Ancora, la capacità di adeguarsi a situazioni diversissime da lui, le prese in giro, i divertimenti.

Il destino in un incontro

E infine l’incontro con Giovanni, la conclusione di un momento esistenziale emozionante nel ricordo nella consapevolezza di quel che sarebbe stato poi. Sono pagine commoventi, quelle in cui Massimo ricorda di avere appena lasciato il lavoro e di avere deciso di esaurirsi in uno dei locali del Kreuzberg, il suo, il “loro” quartiere. Qui, mentre sulla pista stanno suonando Alabama song dopo un intero giro di canzoni che hanno fatto ballare tutti, che è finito in questo richiamo a un altro giro di drink, proprio mentre la pista si è svuotata, Massimo ha scelto di lasciarsi andare, atto raro per lui così timido e silenzioso e quindi ancora più catartico, e balla, da solo al centro della pista, le braccia allargate come in un volo di ascesi. E poi l’incontro, fortuito, con un’amica reggiana che lo porta, nonostante la sua ritrosia, a incontrare un altro reggiano che sarebbe partito di lì a poco: è il compiersi di un momento che chiarisce ogni cosa che gli è accaduta a Berlino, fino ad ora, e che spiega, in controluce, quel che avverrà.

I brani citati in Nessuna voce dentro, in questo capitolo conclusivo, nel resoconto di una serata, la playlist del locale, sono già disseminati lungo la narrazione dove ognuno acquisisce un senso particolare.
Così compaiono Kebab träume, brano dei Deutsch Amerikanische Freundschaft e Militürk e Paul ist tot di Fehlfarben, molto in voga allora nei locali alternativi della Berlino dove convivevano il punk, la new wave, il synth-pop e l’elettronica e quindi utili a dare contorno alla narrazione, risalto all’atmosfera. Ovviamente ci sono anche altri brani, come No tears dei Tuxedomoon, Boys don’t cry dei Cure, Too hot degli Specials e Inglan is a beach di Linton Kwesi Johnson.
Ma le pagine più belle sono proprio quelle dedicate ai brani più sentiti: Bette Davis Eyes, citata più volte come pezzo perfetto, trasudante magia, così come The end cantata da Nico, Berlin, Heroes e soprattutto l’intero concerto dei Tangerine Dream tenutosi il 31 gennaio del 1981 davanti al Reichstag, quel Pergamon che sarebbe passato alla storia come primo concerto di una rock band occidentale nella DDR, ascoltato ma non visto dai giovani che oltre il muro iniziavano a presentire che la fine era nell’aria.

Nella playlist trovate tutti i brani che nel libro hanno uno spazio significativo. In più Massimo Zamboni è intervenuto con un’integrazione. Questo è il risultato finale.

La tracklist

  1. Kebap träume – Deutsch Amerikanische Freundschaft
  2. Militürk – Fehlfarben
  3. Paul ist tot – Fehlfarben
  4. No tears – Tuxedomoon
  5. Boys don’t cry – Cure
  6. Too hot – Specials
  7. Inglan is a beach – Linton Kwesi Johnson
  8. Quichotte Part I – Tangerine Dream
  9. Bette Davis Eyes – Kim Carnes
  10. The end – Nico
  11. Berlin – Lou Reed
  12. Heroes – Bowie
  13. Alabama song – The Doors
  14. Live in Pankow – CCCP
  15. Punk Islam – CCCP
  16. Allarme – CCCP
  17. Curami – CCCP

Gli ultimi brani della playlist, quelli dei CCCP, sono stati selezionati da Massimo Zamboni in persona per Read and Play (grazie Massimo!). Leggete il libro e, proprio nel finale, è chiaro il perché delle sue scelte.


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