di Benedetta Premoli
Vincitori del Premio Campiello Opera Prima 2021 e finalisti del Premio Calvino 2019, i racconti di “Dieci storie quasi vere” sono usciti dalla penna di una sceneggiatrice che non sembra affatto un’esordiente. Al contrario, la precisione lessicale di Daniela Gambaro e la sua capacità di fotografare piccole crepe o grandi voragini della vita quotidiana sono sorprendenti.
I dieci racconti di Daniela Gambaro
I dieci racconti sono come una staffetta, il tema predominante di uno si ritrova in quello successivo. I primi due riguardano il distacco e l’abbandono: in Giavasco della purezza dell’infanzia cantata degli Arcade Fire (Children, wake up / Hold your mistake up / Before they turn the summer into dust / If the children don’t grow up / Our bodies get bigger but our hearts get torn up) e di una casa in Il signor Avezzù pensava. Qui appare un altro tema fondamentale della raccolta: la maternità. La ricerca della tartaruga in giardino è l’immagine perfetta di una scelta di compromesso che tante donne sono costrette a compiere tra famiglia e carriera, spesso in contrasto con l’apertura agli eventi sorprendenti della vita: si dà per scontato che il carapace sia lì, in letargo sotto la terra, ma forse ha preso un’altra direzione. Inaspettata.
La maternità torna prepotentemente in Branchie, dove assume la forma di un terribile incubo in cui si rischia di affogare, ma, forse, si può sopravvivere nuotando come nei versi dei Pixies (Where is my mind? Way out in the water / see it swimming). Ne danno invece una visione più positiva L’ultima dei Mohicani e La Llorona. Nel primo racconto l’essere donna e madre hanno la valenza di una forza dirompente, come gli elementi della natura cantati da Cat Power (Once I wanted to be the greatest / no wind or waterfall could stall me / and then came the rush of the flood / stars at night turned deep to dust). Nel secondo, ispirato a una leggenda popolare in America Latina, una madre combatte contro i suoi fantasmi su una spiaggia messicana uscendone vincitrice. Riappare anche l’immagine della tartaruga, questa volta con un significato di apertura alla vita e rinascita.
Aderenze è la storia che da sola riassume l’intera raccolta. Torna a farsi sentire la maternità come incastro di impegni e compromessi, ma anche uno scontro fra desideri rimasti sepolti sotto la sabbia: quello di Rebecca di diventare architetto e quello della tata Cherie di entrare in convento. Queste aspirazioni esplodono, letteralmente, come il gas lasciato aperto dalla tata e comportano un punto di svolta per entrambe. L’incomunicabilità è l’altro tema portante di questo racconto, che si ritrova nei successivi La stanza in più e We should. Ballata della lingua inglese. Nel primo c’è un muro da abbattere, metaforicamente e fisicamente; nel secondo la barriera viene creata dai protagonisti stessi attraverso l’uso dell’inglese per non farsi comprendere dai bambini. Il linguaggio degli adulti, questa volta non verbale, è la colonna portante del penultimo testo, La piccola metà, che racconta il nuovo inizio di una coppia dopo un’esperienza dolorosa “pensando ai bei tempi senza guardarsi indietro” come nella canzone dei Radiohead (Think about the good times and never look back).
Mia sorella s’illumina è una perfetta chiusura circolare: si ritorna all’infanzia, ai piccoli conflitti che ancora non hanno le proporzioni di quelli degli adulti. O almeno, non in apparenza. Il bambino del racconto è disorientato a causa della sorellina luminosa, che gli ruba il centro della scena. E’ come si perdesse nello spazio cantato dal Duca Bianco, dove tutto è straniante ma meno doloroso.
Si volta l’ultima pagina di “Dieci storie quasi vere” con la sensazione di aver fatto un viaggio surreale, doloroso, ironico e malinconico sulle montagne russe della vita. Le diverse sensazioni si riflettono anche nell’utilizzo della prima, della terza e perfino della seconda persona nei racconti: una narrazione sfaccettata che può essere un ottimo punto di partenza per un futuro romanzo.
La playlist
Ascolta la playlist su Spotify: Dieci storie quasi vere – Daniela Gambaro
Questa playlist è stata creata con l’aiuto dell’autrice in persona, che ha scelto un brano per ogni racconto. Sotto trovate anche una breve spiegazione della sua selezione musicale. Grazie Daniela per il prezioso supporto!
La tracklist
- Wake up – Arcade Fire per il racconto Giavasco
mantenere intatta la visione pura che è propria dell’infanzia, evitare che “i nostri cuori diventino freddi e che l’estate si trasformi in polvere” - Vado ma non so – Bugo per il racconto Il signor Avezzù pensava
restare aperti per accogliere ciò che di inaspettato può arrivare, coltivare la ricerca personale per rimanere vivi. “Vado ma non so che direzione devo prendere, forse scoprirò un nuovo modo di sorprendermi” - The greatest – Cat Power per L’ultima dei mohicani
“volevo essere la migliore. Non c’era vento o cascata che potesse fermarmi. Finché arrivò con prepotenza il diluvio. A trasformare le stelle in granelli di polvere” - Where is my mind – Pixies per Branchie
“la via per uscire dall’acqua la trovi nuotando?”. Forse sì. - La Llorona – Lhasa per La Llorona
una madre combatte coi suoi fantasmi su una spiaggia messicana, come la Llorona della leggenda. - Immensità – Andrea Laszlo De Simone per Aderenze
alcuni incontri ci mettono di fronte all’immensità - This is love – PJ Harvey per La stanza in più
davvero la vita è così complessa? Possibile che sia così? “I can’t believe that life’s so complex, when I just want to sit here and watch you undress” - Al mare – Contini per We should – Ballata della lingua inglese
al mare finisce la lunga maratona linguistica di una coppia - I might be wrong – Radiohead per La piccola metà
ricominciare dopo un’esperienza dolorosa come se non ci fosse un passato. “Apriti, inizia nuovamente, andiamo giù dalla cascata. Pensiamo ai bei tempi senza mai guardarci indietro” - Space oddity – David Bowie per Mia sorella si illumina
nel racconto il bambino sembra perdere ogni punto di riferimento a causa della nascita di una sorellina che si illumina al buio rubandogli tutte le attenzioni come se fosse perso in uno spazio nuovo, distante, dove tutto è straniante ma meno doloroso