La storia vera di un omicidio ne “La città dei vivi” di Nicola Lagioia

di Cristina Nori


Ascolta “All’inferno e ritorno: “La città dei vivi” di Nicola Lagioia” su Spreaker.

Entro in questo libro in punta di piedi, con il rispetto che si deve alle storie vere, che raccontano di persone che non ci sono più e di altre che continuano il loro cammino sulla terra, portando sulle spalle lo stravolgente bagaglio lasciato da una vicenda come questa.
Mi sono bastati quattro giorni per leggere La città dei vivi, poi ho passato un mese a riflettere se scriverne. Troppo grande, troppo vicino e troppo vivo il fatto raccontato, l’omicidio, avvenuto a Roma nel 2016, di Luca Varani, ad opera di Marco Prato e Manuel Foffo.
Poi ho iniziato ad ascoltare la voce dell’autore, facendo tacere quella del delitto, e mi sono decisa.

La città di Roma ne Il mondo dei vivi

Nicola Lagioia ricostruisce la brutale mattanza di un ragazzino di vent’anni, ma allo stesso tempo scrive un requiem per la città teatro della vicenda, Roma.
Leggerete dell’urbe invasa dai topi, il cui sangue cola dalle controsoffittature delle biglietterie del Colosseo, sventrata dai gabbiani, sfacciati e temerari, che si avvicinano minacciosi agli uomini per cavare cibo dalla spazzatura ammucchiata ovunque.
Leggerete della corruzione scoperchiata dall’indagine Mondo di Mezzo, che affonda come un coltello in tutti gli strati di una torta marcia, e della rassegnazione beffarda dei romani, talmente usi agli autobus in autocombustione da creare il mantra “Vajelo a dì ar sindaco!”.
E poi leggerete della parte più viva di Roma, la sua eternità, la grande bellezza delle cose morte.

Gli abitanti di Roma la consapevolezza delle cose ultime ce l’hanno nel sangue, ed è talmente assimilata da non generare più nessun ragionamento. Per chi abita qui la fine del mondo c’è già stata, la pioggia ha solo il fastidioso effetto di rovesciare dal bicchiere un vino che in città si beve di continuo.

Lo stile narrativo: tra empatia e Truman Capote

La struttura de La città dei vivi e il suo incedere possono ricordare A sangue freddo di Truman Capote; la narrazione si addentra nel fatto a piccoli passi, ma in modo implacabile. Personaggio dopo personaggio, testimone dopo testimone, tutti i protagonisti entrano in scena come in una tragedia in più atti.
Lo stile dell’autore è quanto di più pulito e perfetto abbia letto negli ultimi anni; una scrittura che sa passare da periodi asciutti e lineari a costruzioni di respiro più ampio e immaginifico.

Sono molte però le differenze fra questo libro e il capolavoro di Capote.
Prima fa tutte l’empatia, la pietas nell’accezione latina di compassione, che Lagioia lascia trasparire in modo attutito ma tangibile attraverso piccoli dettagli, come la parola signora messa davanti al nome della madre di uno degli assassini, per sottolinearne il dolore attonito e la dignità.
Non troverete in questo romanzo nessuna concessione al voyerismo della tortura o allo splatter; siamo lontani mille miglia dai libri spazzatura che hanno ripercorso malamente i delitti di Cogne e Avetrana, per citarne un paio.
Lagioia non spreca una parola per descrivere l’atrocità della morte di Luca Varani: gli basta far parlare uno degli assassini.

Coltellate, martellate, ma Luca non la smetteva di respirare. Sembrava che non morisse mai. Ha sofferto tantissimo

(dalla deposizione di Manuel Foffo)

La città dei vivi è un viaggio che, capitolo dopo capitolo, si addentra nelle tenebre umane.
A volte si può cadere nel baratro all’improvviso ma, più spesso, ci si immerge in esso a piccoli passi, e si scopre troppo tardi di essere intrappolati nelle sabbie mobili.
Colpisce la descrizione delle feste degli assassini. Niente musicisti, birra e balli scatenati, scordatevi le atmosfere da party universitario; qui tutto è deformato dalla cocaina e dalla vodka e puzza di vomito, stoviglie da lavare e vestiti sporchi.

Marco indossava un paio di pantaloni corti e una camicia fantasia abbottonata fino al collo. Faceva caldo, così a un certo punto ha proposto di toglierci i pantaloni e di restare in mutande. Abbiamo seguito l’indicazione. Marco intanto preparava da bere. Vodka, gin lemon. Abbiamo bevuto. Abbiamo ripreso a pippare.

Dopo aver percorso tutta la strada dell’inferno – e non uso a caso questa parola, chi leggerà il libro lo capirà – l’autore ci lascia con una riflessione sulla giustizia, impensabile di fronte ad un crimine del genere, eppure l’unica cosa che rimane a testimoniare la nostra umanità.

Nelle ultime settimane avevo letto il libro che mi aveva regalato il senatore Manconi. Era stato per molto tempo sul comodino, poi nei cartoni del trasloco. Lo avevo ritrovato di recente. Si intitolava Il libro dell’incontro, e offriva la testimonianza di un lungo esperimento di giustizia riparativa tra vittime e responsabili della lotta armata in Italia.

La musica ne La città dei vivi

Ascolta la colonna sonora su Spotify: La città dei vivi – Nicola Lagioia

La città dei vivi cita due brani della cantante francese Dalida, che Marco Prato canta e riproduce ossessivamente ostentando un’immedesimazione con l’artista, come se appiccicarsi addosso un sofferto stile altrui potesse ricoprire il proprio vuoto.
Li trovate in apertura e in chiusura della nostra soundtrack.

Per il resto della playlist mi sono lasciata guidare dal racconto e dai suoi personaggi.

You’re no different di Ozzy Osbourne, perché ancora oggi c’è chi teme maggiormente un figlio omosessuale che un figlio cocainomane, e poi Beautiful degli Smashing Pumpkins, bello, come la storia d’amore di Luca e della fidanzata Marta Gaia.
Poi un brano per ogni scalino della discesa agli inferi: Cocaine di Eric Clapton, La fine del mondo di Anastasio, fino alla fine, The End dei Doors.

La tracklist

  1. Loin de moi – Dalida
  2. You’re no different – Ozzy Osbourne
  3. Beautiful – Smashing Pumpkins
  4. Cocaine – Eric Clapton
  5. Disintegration – The Cure
  6. La fine del mondo – Anastasio
  7. The beautiful people – Marilyn Manson
  8. The evil that men do – Iron Maiden
  9. The end – The Doors
  10. Ciao amore, ciao – Dalida

L’autore

Nicola Lagioia è nato a Bari nel 1973 ed è autore di romanzi, saggi e racconti. Dal 2017 è direttore del Salone del Libro di Torino. Fra gli altri ha pubblicato Occidente per principianti, Babbo Natale (dove si racconta come la Coca Cola ha plasmato il nostro immaginario) e La ferocia, premio Strega 2015.

Editore: Einaudi


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