di Luca Brecciaroli
Scrivere su La stanza profonda, per il sottoscritto, è quasi rompere un tabù, cimentarsi con una sfida persa già in partenza, sapendo che qualsiasi cosa si scriverà risulterà fuori luogo o comunque non in grado di definire bene questo piccolo grande libro. Trovo ora, dopo l’ennesima lettura fatta in epoca di quarantena da Covid-19, il coraggio di scrivere qualche nota su questo libro che per me ha avuto la forza dirompente che hanno avuto altre letture fondamentali, oserei dire generazionali, tipo Il giovane Holden o Tokyo Blues, o i capolavori di Bolaño e Foster Wallace, tanto per rendere l’idea…
Vanni Santoni, toscano di Montevarchi, ha pubblicato La stanza profonda nell’oramai lontano 2017: ricordo ancora quando uscì in libreria poiché conoscevo già l’autore sia per il celebre e fantomatico Gli interessi in comune, sul quale circolano aneddoti assurti oramai a leggenda, sia per altre sue pubblicazioni, sia per il suo ruolo di direttore editoriale dell’interessantissima collana di narrativa italiana dell’editore Tunué. Dopo aver letto il risguardo di copertina e aver intercettato le parole “gioco di ruolo”, ricordo di averlo acquistato immediatamente e iniziato la sera stessa, terminando la lettura in tempi record. Alla prima seguirono altre letture: non mi capacitavo proprio di come Santoni fosse riuscito a cogliere e a restituire sia un preciso momento della vita che mi ha accomunato a lui (il gioco di ruolo), sia come abbia dipinto la realtà e la società in mutazione con la profondità di un sociologo e la capacità di divulgazione di un fine narratore. Tali caratteristiche hanno reso La stanza profonda un successo clamoroso, se si tiene conto del fatto che questo libro sia una via di mezzo tra il romanzo di formazione e/o storico e il saggio filosofico-sociologico, incentrato peraltro sui giochi di ruolo, quindi non proprio un prodotto di massa: un successo che lo catapultò tra i finalisti del Premio Strega nel 2017, addirittura la prima volta per un editore a mio avviso fondamentale in Italia come Laterza.
Il romanzo e il “gioco di ruolo”
La stanza profonda è per quei quarantenni che hanno avuto un passato, più o meno intenso, alle prese con i giochi di ruolo e la relativa subcultura, quindi tutt’altro che una maggioranza di persone, una sorta di Divina Commedia, una guida al ricordo e alle sensazioni legate a quel modo di interpretare la realtà che era giocare di ruolo. Sì, perché è vero che il gioco consisteva proprio nel crearsi una realtà parallela, ma è pur vero che forniva anche una chiave di lettura e di analisi per la realtà, quella vera, quella esterna alle stanze profonde dove si giocava. Che Santoni descrive perfettamente cogliendone tutte le sfumature e i cambiamenti avvenuti, ovviamente in peggio, ma intesi in peggio anche perché collegati al passaggio che intanto conduceva a un’altra età della vita, fuori dall’età aurea della gioventù e verso il difficile mondo degli adulti.
Bellissime le riflessioni e le conclusioni che la lettura suscita. In particolare il fatto, estremamente significativo in tempi di liberismo, competitività e ipercapitalismo, che nel gioco di ruolo, per definizione, non c’è un vincitore, non si compete ma si collabora: insieme si raggiunge l’obiettivo del caso, insieme si progredisce, insieme si portano avanti le campagne di gioco. Inoltre, altro fattore quasi commovente in questi miseri anni in cui tutto ha un prezzo (spesso pure troppo alto), il gioco di ruolo era economicissimo: bastava un manuale, qualche dado, carta e matite per giocare per anni, poche migliaia di lire e si giocava in tanti e per molto tempo, volendo anche all’infinito. Il gioco di ruolo era inoltre accessibile, semplice, incredibilmente e realmente sociale. Purtroppo, volendo fare una riflessione ad ampio raggio, si può dire sia stato spazzato via dalla disgregazione sociale ed economica portata dal capitalismo e dal liberismo economico: un gioco che costava zero, durava anni, aggregava un gruppo di persone impegnato in un’attività che stimolava l’intelligenza e la creatività… no, non poteva durare.
D&D è controcultura. Lo è perché in una società che premia solo la competitività mostra che ci si può divertire, anzi avere un’esperienza esaltante, attraverso la cooperazione, senza pagare nessuno e senza sottoporsi a nessuna autorità se non a quella di regole scelte assieme.
Oh, sia chiaro, tutti noi che abbiamo passato anni a giocare di ruolo negli scantinati, nelle mansarde, nelle soffitte delle case di qualche amico che aveva un po’ di spazio, eravamo dei veri e propri nerd! Non si sfugge, nerditudine senza alibi. Ma era una nerditudine differente da quella soppiantata poi dai computer e dalla tecnologia. E la storia gli (e ci) avrebbe dato ragione: d’altronde, viene da pensare, la società oggi non è in mano a dei nerd che hanno fatto fortune colossali partendo dagli stereotipati garage sotto casa?!?
Nerd senza appello, tuttavia, come definisce bene Santoni in questo passaggio:
I raver, almeno, si salvavano con lo stile, che gli veniva copiato dai film e dalle maison di moda, e con l’etica – quantunque degenerasse la scena, erano comunque degli irriducibili. Ma quella banda di spalle cascanti e di buzze flaccide, di battute su Radagast e disinteresse per l’igiene? Come rendere loro dignità senza aspettare i responsi della storia?
Non a caso viene fatto un paragone con un’altra subcultura fondamentale che convisse più o meno negli stessi anni: Santoni aveva infatti pubblicato poco tempo prima un lavoro analogo (Muro di casse, Laterza, 2015) incentrato sulla cultura dei rave, altra subcultura, altro fenomeno generazionale, descritto anche in quel caso in maniera magistrale.
La storia
Il protagonista di La stanza profonda (anche se la narrazione avviene in seconda persona, sarà l’autore stesso? Sarà davvero lui il master del racconto e delle giocate a D&D?) racconta la storia dell’età dell’oro dei giochi di ruolo sulla base della sua esperienza e di quella del suo gruppo. Dall’infanzia, alla prima volta (del gioco…), alla formazione del gruppo, al fatto che il gruppo poi giocherà per molti anni condividendo una bella fetta di vita, ciascuno con le proprie storie e il proprio background, fino al rito di passaggio della crescita e all’inevitabile dispersione, il lavoro, le famiglie, sullo sfondo la provincia che cambia e si chiude sempre più a riccio su sé stessa, smarrita e priva di prospettive.
Il protagonista ritorna sulla scena del crimine, la casa di famiglia dove un tempo si giocava è ora a sua disposizione anche se egli si è trasferito da tempo in città, ma la casa è un incredibile covo di storie. E da lì un flusso di ricordi, pensieri e riflessioni: sono cambiate le nostre vite, ma è così cambiato anche il mondo che le ospita.
C’era anche il fatto che un piccolo paese italiano, nei primi anni Ottanta, era ancora feroce: aveva le rapine e l’eroina e gli incidenti in motorino, tutti senza casco, tutti in coma, e i lavori erano veri, tutti di merda, magari, tutti da sputare il sangue e bestemmiare il Cristo…
Santoni racconta quindi, con tanto di note e una piccola bibliografia, la storia dei giochi di ruolo, Dungeons & Dragons su tutti, poi la valanga Magic che, con la sua caratteristica di essere collezionabile, decretava la fine del sogno rivoluzionario: niente più gioco collaborativo, costi altissimi dovuti alla trappola del collezionismo, fine del gioco di collaborazione e della creatività. Poi arrivarono i videogiochi e da lì il passo ai videopoker è stato purtroppo devastante.
La narrazione
La narrazione è abilmente condotta su più registri, che si intrecciano con perfetta armonia: dal ricordo personale alla riflessione sociologica, dal saggio che espone con dovizia di dettagli la storia dei giochi di ruolo (una vera e propria chicca per i cultori del genere) alle speculazioni filosofiche fino alla storia e al costume nazionale, con riferimento alla demonizzazione che subirono i giochi e i giocatori di ruolo tra gli anni ‘80 e ‘90, quando il “mondo fuori” non riusciva a capire cosa accadesse in quelle stanze che per magia diventavano così profonde; non poche furono le denunce di compiere riti satanisti o chissà quali orge.
Il tutto compone un’opera tanto personale quanto corale, tanto intima quanto universale. La stanza profonda è un libro militante, politico, un atto d’amore e un saggio di ricerca, uno sguardo nostalgico verso il passato, anzi, più che nostalgico direi romantico, ma anche un’analisi critica sul presente e un’ipotesi sul futuro.
Per chi non avesse vissuto l’esperienza dei giochi di ruolo, e magari non avesse trascorso l’adolescenza negli anni ‘80 e primi ‘90, la lettura potrebbe anche risultare meno coinvolgente, ma di sicuro non meno illuminante. Ricordo di aver letto tempo fa un’intervista a Vanni Santoni nella quale accennava, tra l’altro, alle incredibili e per molti inaspettate ricadute che il gioco di ruolo ha poi avuto nel tempo attuale: dai videogiochi ai giochi online, dal cinema alle serie Tv (con il suo immaginario fantasy, basti pensare alla pluripremiata serie Stranger Things), dalla letteratura fino addirittura ai social network, dove la scheda profilo altro non è che la scheda giocatore, con le sue caratteristiche e le sue competenze (altro termine oggi molto presente nel mondo della scuola e dell’educazione).
Bellissima, una tra tante, la descrizione di cosa fosse l’immaginario del gioco di ruolo, senza dimenticare un dettaglio molto importante, ossia il fatto che quella narrata sia stata la prima generazione figlia del benessere, con un mondo immenso da scoprire, ma anche con la serenità del benessere e la prospettiva del futuro.
Foste i primi ad accumulare immaginari. Anche nel passo successivo, dal giocattolo al gioco: il militarismo del Risiko, il capitalismo di Monopoli e il nozionismo di Trivial Pursuit, la casa degli orrori di Brivido, i “misteri cinesi” di Dragon, i cliché giallistici del Cluedo e quelli avventurosi dell’Isola di Fuoco, fino a cose più raffinate come la Venezia di Inkognito e il fantasy di Talisman o Hero Quest. Un’esplosione che attendeva ancora un salto di grandezza di scala con la prima maturità dei videogiochi (vogliamo dire Monkey Island? Vogliamo dire Civilization? Syndicate? Command & Conquer? Doom? Vogliamo dire Ultima? Ultima Online?): in un simile contesto, il gioco di ruolo sarebbe poi giunto come il salto di paradigma definitivo – fatteli da solo, gli immaginari; fatteli come vuoi, fatteli con chi vuoi, fattene infiniti.
Editore: Laterza
La colonna sonora
E arriviamo alla musica. Nelle pagine de La stanza profonda la musica non è in pratica presente, non ci sono citazioni esplicite nel testo, ma c’è una colonna sonora che pervade tutta la narrazione e accompagna l’epopea del gioco di ruolo e del periodo storico preso in considerazione. La musica è quindi facilmente udibile in sottofondo pur non essendo esplicitata.
Ecco quindi che, con uno sforzo di ricerca che mi ha divertito tantissimo, e la collaborazione di qualche vecchio frequentatore di stanze profonde, ho ricostruito alcune delle colonne sonore delle nostre (oramai remote) giocate di ruolo, che avvenivano esattamente come descrive Santoni, con le stesse dinamiche e la stessa ritualità. Ricordando che eravamo ben collocati tra fine anni ’80 e inizi ’90, e che regnava naturalmente sovrana l’ambientazione fantasy, ecco quindi band come i Dead Can Dance e i Tangerine Dream, ma soprattutto tante colonne sonore dai film di quell’epoca (Highlander, Conan il barbaro, L’ultimo dei Mohicani, Braveheart, Dracula…). Unica concessione “distopica”, dato che il film tratto dal libro cardine del mondo del D&D sarebbe uscito anni dopo, è naturalmente Il signore degli anelli, la sacra Bibbia di ogni giocatore di ruolo!
Ascolta la colonna sonora: La stanza profonda – Vanni Santoni
Tracklist
- Saltarello – Dead Can Dance
- The arrival and the reunion – Dead Can Dance
- Black sun – Dead Can Dance
- Conan the Barbarian “Atlantean sword” – Basil Poledouris
- Conan the Barbarian “Theology/Civilization” – Basil Poledouris
- Conan the Barbarian “The search” – Basil Poledouris
- Last of the Mohicans “Main title” – Trevor Jones
- Last of the Mohicans “Elk hunt” – Trevor Jones
- Last of the Mohicans “The kiss” – Trevor Jones
- Braveheart “Wallace Courts Murron” – James Horner
- Bram Stoker’s Dracula “Dracula – The beginning” – Wojciech Kilar
- Bram Stoker’s Dracula “Vampire hunters” – Wojciech Kilar
- Carmina Burana “O fortuna” – The City of Prague Philharmonic Orchestra
- Highlander “Who wants to live forever” – The Queen
- Highlander “Princes of the universe” – The Queen
- Akira “Kaneda” – Geinoh Yamashirogumi
- The Lord of the Rings “The Shire” – Howard Shore
- The Lord of the Rings “The council of Elrond assembles” – Howard Shore & Enya
- The Lord of the Rings “The road goes ever on” – Howard Shore & Edward Ross
- Rubycon Part 1 – Tangerine Dream
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