di Davide Morresi
Alessandro Robecchi è uno degli autori degli spettacoli di Maurizio Crozza, scrive su Il Fatto Quotidiano e pubblica romanzi gialli con la casa editrice Sellerio. Oltre ad aver fatto un sacco di altre cose in passato, tra cui anche aver scritto un libro su Manu Chao, tradotto in cinque lingue, ed essere stato una delle firme di Cuore.
Qui il suo sito: http://www.alessandrorobecchi.it/
Qui la sua pagina facebook: https://www.facebook.com/AlRobecchi/
Venerdì 2 agosto 2019, presso il Ristorante Sabya Beach di Grottammare (AP), Alessandro ha presentato il suo libro I tempi nuovi, in un incontro con i lettori organizzato dalla Libreria Rinascita di Ascoli Piceno.
I tempi nuovi è l’ultimo romanzo della serie con protagonista Carlo Monterossi, un autore televisivo di una trasmissione di enorme successo, che gli ha dato fama e soldi, ma che lui odia per quello che è diventata, spazzatura, cinismo, simbolo dei simboli dei tempi nuovi.
Intervistato da Eleonora Tassoni, titolare della Libreria Rinascita, Alessandro Robecchi ha parlato della sua opera, del suo rapporto con i tempi nuovi, di cosa sta succedendo al mondo e alla nostra società negli ultimi anni, del suo rapporto con la musica e del perché il suo personaggio Carlo Monterossi sia un forte appassionato di Bob Dylan e non perda mai occasione per interpretare la vita attraverso le parole del menestrello del rock.
Qui di seguito riportiamo alcuni passi, i più significativi, dell’intervista.
Alessandro, vorrei leggerti un estratto dal tuo romanzo che mi ha colpito molto.
…il Ghezzi era arrivato lì, ai tempi nuovi.
Tutto mischiato, brave persone che diventano delinquenti, occasioni che diventano tentazioni irresistibili. Una volta quel crinale tra guardie e banditi, tra bene e male, era sottilissimo, una lama, e ora è come un sentiero di montagna, largo abbastanza da passarci agevolmente, e lo percorreva anche gente normale, gente perbene, spinta fin lì dalle ingiustizie dalla rabbia. Lo fanno tutti, girano un sacco di soldi, e sto fuori solo io? I tempi nuovi sono anche questo: si dicono in pubblico parole che una volta ci si vergognava a pensare in privato, il «perché no?» sostituisce il «perché no».
In tutto questo, la televisione, oggi, in questi tempi nuovi, ha ancora il suo potere comunicativo o è cambiato qualcosa?
Io credo che la televisione orienti pesantemente il paese. Poi teniamo presente il fatto che si dice sempre che la televisione oramai non la vede più nessuno, ma è un luogo comune. In realtà la vedono gli anziani e quelli poco scolarizzati, che sono, ahimè, il 60% del paese. E quindi io credo che abbia ancora quella funzione. E chi la governa lo sa. La televisione è ancora potentissima.
Per quanto riguarda i tempi nuovi, e il pezzo che hai letto, noi siamo per la prima volta in questa situazione. Le generazioni successive non sono più sicure di stare meglio di quelle precedenti, cosa invece che era scontata fino a poco fa. Non è più così, tutto è più insicuro, incerto, a partire dal lavoro, e siamo tutti più precari e quindi incattiviti, dubbiosi del nostro futuro.
Tenete presente che i tempi nuovi sono figli dei tempi vecchi. E non c’è più niente di collettivo, di comune, da fare insieme. Ognuno pensa a sé e che da questi tempi nuovi si salverà da solo. E il “perché no?” sostituisce il “perché no”.
C’è lo sfarinamento di alcuni pilastri etici e morali. “Perché no? Lo fanno tutti, sto fuori solo io?” Che però rende quel varco, da una parte i delinquenti e dall’altra parte la gente perbene, sempre più sottile.
Ad un certo punto Ghezzi dice: “I farabutti dicono in pubblico cose che prima si vergognavano di pensare in privato”. Ecco, sì, basta andare in un bar, sentite delle cose che dieci anni fa non avreste sentito, quasi sempre contro quelli deboli, contro gli sfigati. Con gli esempi che vengono dall’alto, siamo come sdoganati.
Se poi vai a vedere chi sono gli odiatori, chi sono gli arrabbiati, trovi che si tratta di gente che sta facendo i conti con le sue paure, col suo futuro che scivola, col timore di quella che sarà la sua vita, domani, dopodomani, quella dei suoi figli… Io non sono cresciuto così, quando io avevo tredici anni, anche con la crisi del petrolio, gli anni 70, e il resto… era ovvio, nemmeno in discussione, che io da grande sarei stato meglio di mio padre. Oggi questa cosa qui non c’è più e questo spaventa tutti. E chi non è attrezzato, si incazza. È normale. È il penultimo che si incazza con l’ultimo.
Nel romanzo appare anche un episodio di cyber bullismo. E Ghezzi, il poliziotto che a un certo punto prende in mano la situazione, risolve il problema in modo anomalo, e fa un contro episodio di cyber bullismo. E qui entrano in gioco i tempi nuovi, non è che lui si voglia piegare a loro, ma sono loro stessi che lo obbligano.
Mi serviva una storia parallela che servisse per spiegare i tempi nuovi. La ho trovata in una storia di bullismo, dove c’è una foto di una ragazzina che gira tra i banchi del liceo con il bulletto che la ricatta, un evento ben diffuso. Tra l’altro il bulletto è figlio di un membro di quelli dell’élite, di uno di quelli che ci spiega come gira il mondo in tv. Questo mi serviva per dire che le élite non sono per niente al riparo dai tempi nuovi, ma ne fanno parte. Anzi, se le élite si fossero comportate meglio, i tempi nuovi forse sarebbero migliori.
E davanti a una cosa così, una cosa che la legge fa fatica oggettivamente a perseguire, a punire… che fai a un quindicenne stupido? Che gli puoi fare? Lo metti in galera?
E quindi Ghezzi aggira il problema, lo risolve in modo poco ortodosso, lo dice anche alla moglie. “Guarda, io non so cosa dire, mi adeguo ai tempi nuovi”. E persino Ghezzi, lui, che è l’istituzione come la vorremmo, il poliziotto perfetto, inflessibile, a un certo punto non resiste, scantona, e trova una soluzione diversa… ogni azione in questo libro porta lì, a questi tempi nuovi, a questa ricerca… noi sappiamo che siamo in mezzo a una sostanza nuova, però non la riconosciamo, a volte non ne vediamo i confini, sappiamo che è tutto molto più sbrigativo, molto più facile, e quindi si cerca la scorciatoia. E mi serviva questa storia di bullismo per farla cercare anche a Ghezzi, che invece di solito è uno perfetto.
Le canzoni di Bob Dylan diventano il modo in cui Carlo tante volte decodifica la realtà, soprattutto le donne. Ogni romanzo contiene richiami e rimandi all’opera di Bob Dylan. Quanto è fondamentale Bob Dylan per Carlo Monterossi e per Alessandro Robecchi?
Dylan è un mio vero amore.
Dylan è come Shakespeare, è come la Bibbia.
Troverai sempre un verso di Dylan, una strofa di Dylan, che ti spiega un movimento del cuore. I poeti servono a questo.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona” io non lo so scrivere così, e per fortuna c’è chi lo fa. Quando cerchi un qualcosa, senti un sentimento e te lo strizzi dentro, e dici: “Ma questa roba qua… come mai… cos’è…?”, c’è sicuramente un poeta che lo ha detto meglio di te. È per questo che usiamo i poeti.
Io ho Dylan, che conosco bene, che è un mio grande amore. Poi è vero che Dylan è un poeta dell’abbandono, quasi tutte le sue canzoni d’amore sono canzoni di abbandono, di gente che non si ritroverà, che si rimpiange. E l’abbandono non è solo struggimento, è anche rabbia, incazzatura. Hai sprecato del tempo prezioso. Ci sono molte strofe di Dylan di incattivimento d’amore. E quindi per il Monterossi è perfetto. Poi dal punto di vista letterario ti dà quella punteggiatura, per cui sai che il Monterossi quando pensa qualcosa tira fuori una frase di Dylan che spiega quella roba lì. È un omaggio a un grande poeta contemporaneo vivente.
Alla fine dell’intervista, Alessandro Robecchi si è fermato a cena con tutti i partecipanti. Abbiamo avuto così modo di continuare, in via molto informale, a conoscerlo.
Abbiamo rivolto una domanda ad Alessandro e non poteva che essere a tema musicale.
Alessandro, in via del tutto ipotetica, se al mondo non ci fosse stato Bob Dylan, Carlo Monterossi a chi avrebbe fatto riferimento, musicalmente parlando?
Impossibile rispondere. Per fortuna Bob Dylan c’è. Nessuno potrebbe essere al suo posto. Se non ci fosse Dylan, non ci sarebbe nessuno.
Insisto: in un mondo assurdo e senza pretese di paragone alcuno, se proprio fossi costretto a scegliere qualcun altro al posto di Bob Dylan…?
Non vorrei risponderti, ma se insisti, allora dico: Leonard Cohen. Se proprio fossi costretto a dire un nome al posto di Bob Dylan, direi Leonard Cohen.
Però continuo a dire che Dylan non può avere alcun sostituto.
Dopo un incontro così, non possiamo che ringraziare Alessandro per tutte le indicazioni e interessanti spunti di riflessione che ci ha dato. E vi diamo appuntamento alle prossime settimane, perché stiamo leggendo i suoi romanzi e sappiamo già che sono ben forniti di citazioni musicali.
Aspettatevi quindi nuove colonne sonore… a base di Bob Dylan.