Archivio dei bambini perduti – Valeria Luiselli

di Lorella Quintabà


L’autrice ha raccontato in una intervista a Repubblica: “Quando lavoravo come interprete volontaria al tribunale di New York, incontrai due bimbe guatemalteche di cinque e sette anni: erano arrivate da sole alla frontiera col numero della mamma cucito nel colletto. Un caso debole, disse il loro avvocato. Di loro non seppi più nulla e credo che vennero rimpatriate. Da allora, la loro storia mi ossessiona. Quella vicenda senza finale ha continuato a farsi strada dentro di me, trasformandosi  in un romanzo tragicamente simile alla realtà.
La storia che voglio raccontare non è la storia di bambini che arrivano, ma quella dei bambini che sono scomparsi.”

Valeria Luiselli affronta il problema raccontandoci un viaggio di una coppia in crisi con i loro due bambini, il maschio di 10 anni, figlio di lui, e la femmina di 5 anni, figlia di lei. Si muovono in macchina verso sud portando con loro nel bagagliaio 7 scatole.
I due adulti si sono conosciuti e poi innamorati grazie al lavoro che hanno dovuto fare insieme: raccogliere, documentare, i suoni e le voci, i dialetti e le lingue parlate a New York (pare ce ne siano 800).

Ora il marito insegue un nuovo, solitario, progetto: registrare, collezionare tutto quello che rimane dei popoli Apache del Sud, catturare l’eco degli ultimi indiani che si sono arresi.
La moglie, nel tentativo di salvare il matrimonio, sceglie di seguirlo insieme ai loro figli. Sa comunque cosa fare: lavorare a un progetto sui minori che attraversano la frontiera e andare in quei luoghi dove i bambini scompaiono dopo essere scappati dal Messico, attraversando da soli il confine, trasportati da quei furfanti che vengono chiamati coyote e abbandonati in piena notte. Un progetto nato forse come pretesto, ma a cui non riuscirà più a smettere di pensare.

Quei bambini erano venuti negli Stati Uniti per cercare protezione, cercare madri, padri o altri parenti migrati in precedenza che potessero accoglierli. Non cercavano il Sogno Americano, come si dice di solito. Quei bambini cercavano solo una via d’uscita dal loro incubo quotidiano.

A rendere peculiare questo libro, oltre all’attualità delle tematiche, è la struttura: un metatesto a più strati, in cui la scrittrice dà voce ai suoi personaggi – la madre nella prima parte e il figlio nella seconda; e poi ci sono le scatole, quattro dell’uomo, una della donna, due per i bambini, il cui contenuto raccoglie quaderni, libri, cd, appunti, fotografie che rappresentano le voci e i frammenti del loro passato, l’archivio della loro storia personale da rileggere e ascoltare in futuro. A ogni scatola viene dedicato un capitolo, quelle dei bambini sono vuote perché hanno ancora una vita da vivere per riempirle.

La lingua cambia in base al narratore: una è quella della madre quando parla di sé e quando riporta le parole del marito e dei figli; un’altra è quella del bambino che racconta alla sorella minore la sua visione del mondo degli adulti.

Nel lungo viaggio il tempo è sospeso, rallentato dalle soste nei luoghi da visitare, nei motel e nei diner. Il paesaggio cambia via via che si macinano i chilometri, e intanto i 4 viaggiatori in auto chiacchierano, ascoltano gli audiolibri e i cd dei genitori, raccontano storie. Tra la musica ascoltata c’è Space Oddity di Bowie, un vero e proprio codice di comunicazione tra i due bambini.

La voce di Bowie è un avanti e indietro tra la torre di controllo e il maggiore Tom, tra chi è rimasto e chi è partito. Più forte! Grida la femmina, che adora la magia di questa canzone. Rimettila ancora! Dice il maschio appena finisce. Rimettiamo Space Oddity più volte di quante avrei mai immaginato di poter ascoltare una canzone. Quando chiedono un nuovo giro, dopo la quinta o sesta volta, mi volto verso i bambini con aria di rimprovero, pronta a dirgli che non ne posso più, che non rimetterò un’altra volta la stessa canzone. Ma prima ancora di aprire bocca, noto che il maschio si sta infilando un immaginario casco da astronauta e un altro lo ha infilato alla sorella, pronto a cantare in playback con un walkie-talkie invisibile: torre di controllo a maggiore Tom! Mi ricevi?

Un libro con tante frasi da sottolineare, che facciamo nostre e vogliamo ricordare perché ci assomigliano o ci emozionano. Tra tutte una che faccio mia:

Non tengo un diario. I miei diari sono le frasi che sottolineo nei libri.

È un libro non solo di parole ma pieno di suoni, Luiselli afferma: “È come se occupassimo uno spazio privo di gravità, di gravità morale e sociale. L’audio è il mezzo più contemporaneo, perché devi prestare attenzione, non puoi inghiottirlo, devi ascoltare dall’inizio alla fine”.
Archivio dei bambini perduti lo leggiamo e lo ascoltiamo, facciamo caso alla musica, all’eco in un canyon, ai suoni della natura, dell’auto, del treno e dell’aereo, alle voci degli estranei, dei morti dimenticati e dei bambini perduti.

Editore: La Nuova Frontiera

La soundtrack

La playlist di Read and Play è formata da tutte canzoni citate nel libro, canzoni ascoltate e/o cantate in macchina e contenute nei cd delle scatole.

Chiamo il maggiore Tom.
Prova. Uno, due, tre.
Qui è la torre di controllo. Mi ricevi, maggiore Tom?
Questa è la storia nostra e dei bambini perduti, dall’inizio alla fine, e sto per raccontartela, Memphis.

Ascolta la soundtrack: Archivio dei bambini perduti – Valeria Luiselli

  1. Psycho killer – Talking Heads
  2. Appalachian spring: IV. Quite fast – Aaron Copland
  3. With God on our side – Odetta
  4. Straight to hell – The Clash
  5. Paint it, Black – The Rolling Stones
  6. Highwayman – The Highwaymen, Willie Nelson , Johnny Cash
  7. All shook up – Elvis Presley
  8. Metamorphosis (1) – Philip Glass
  9. Cantigas de Santa Maria, nstrumental CSM 123 – Jordi Savall, Alfonso X el Sabio
  10. Hands in our names – Karima Walker
  11. Echo Canyon – James Newton
  12. Space Oddity – David Bowie
  13. Alright – Kendrick Lamar
  14. Superman – Laurie Anderson
  15. People Ii The Reckoning – AJJ
  16. La cama de piedra – Cuco Sanchez